Tra paura e solidarietà, come armeni e azeri vivono in #guerra
Pane gratis per tutti gli abitanti di Stepanakart, capitale dela regione contestata da armeni e azeri, il Nagorno Karabak.
Armen Saghyan, panettiere armeno, dal primo giorno di guerra non smette di sfornare il pane che vende all'esercito armeno e regala ai residenti rimasti in città. 24 ore di lavoro al giorno. Fin dal mattino davanti al panificio si forma la fila per ritirare il pane gratis. Assieme a lui lavora Lena Ghevondyan, che ha un figlio al fronte e per questo non vuole scappare, ma aspettarlo lì, facendo ogni giorno il suo dovere.
Il panificio consegna il pane all'esercito in tutta la regione. Ci pensa Armen Abroyan, 41 anni, a distribuire il pane con il camioncino. "Se ho paura? - dice - I soldati stanno al fronte e non hanno paura. Fanno di tutto per noi e noi gli dobbiamo consegnare solo il pane. Come potremmo non farlo?".
Andiamo a Terter in Azerbaijan in uno scantinato dove si sono rifugiati degli azeri scappati dal Nagorno-Karabakh. Le bombe hanno fatto dimenticare la pandemia da coronavirus, che pure esiste. Qui nessuno usa le mascherine.
"Queste sono zucche... sono ortaggi, crescono nel nostro giardino - dice Ayden Shakhverdiyev, mostrando le provviste - Le tagliamo, le cospargiamo di zucchero, le facciamo riposare per 10 giorni e poi le mangiamo. Sono cose salutari, è l'unica cosa che possiamo fare contro il Covid: mangiare cose sane".