Dalla Siria alla Libia: Turchia interventista ma sempre più isolata, un problema anche per Bruxelles

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan Diritti d'autore ADEM ALTAN/AFP or licensors
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Di Alice Tidey
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Secondo diversi analisti la politica estera più aggressiva degli ultimi anni è strettamente legata ai cambiamenti nella politica interna del paese

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Quando il mese scorso è cominciata l'escalation di violenza tra Armenia e Azerbaigian nella regione del Nagorno-Karabakh la comunità internazionale ha lanciato ripetuti appelli per un cessate il fuoco immediato. Un coro a cui però la Turchia non si è unita.

Contrariamente a Francia, Russia, Nazioni Unite e Stati Uniti, Ankara ha sostenuto pubblicamente una parte - l'Azerbaigian - e ha offerto sostegno militare.

Le ostilità nel Caucaso meridionale sono solo l'ultimo esempio della crescente spaccatura tra le potenze occidentali e la Turchia.

Negli ultimi anni Ankara è intervenuta militarmente in Libia, Siria e Iraq e ha scatenato l'ira dell'Unione Europea intensificando le esplorazioni nelle acque del Mediterraneo orientale alla ricerca di giacimenti di gas.

Anche se ciò ha contribuito a isolare ulterioremente la Turchia, i paesi occidentali sembrano avere pochissimi strumenti a disposizione.

Deviare l'attenzione

"Ciò a cui abbiamo assistito nell'ultimo decennio è stata davvero una trasformazione della politica estera turca - ha detto a Euronews Sinan Ulgen, studioso del centro di ricerca Carnegie Europe - la visione della Turchia è quella di ritagliarsi un certo grado di autonomia strategica dai suoi partner tradizionali in Occidente, in particolare dagli Stati Uniti".

L'obiettivo di affermarsi come potenza regionale, ha aggiunto Ulgen, deriva in parte dalla "frustrazione accumulatasi negli ultimi decenni" con i suoi tradizionali partner occidentali.

L'intervento di Washington in Iraq nel 2003 e il partenariato in Siria con le forze curde - che la Turchia considera un'organizzazione terroristica - hanno fatto arrabbiare Ankara, così come lo stop ai colloqui di adesione con l'Ue. Ma anche la politica interna ha contribuito in modo massiccio al cambiamento della sua politica estera.

"Il passaggio a una politica più assertiva coincide con l'alleanza di Erdogan con l'ultranazionalista MHP (Partito del Movimento Nazionalista) nel 2015 e il rafforzamento del suo governo dopo il fallito colpo di stato del 2016", ha detto a Euronews Luigi Scazzieri, ricercatore del Centro per le Riforme Europee.

"Più recentemente - ha aggiunto - il governo è stato motivato dal desiderio di aumentare il sostegno e di distogliere l'attenzione dal peggioramento della situazione economica in Turchia".

Un rapporto più instabile con l'Ue

Ogni intervento all'estero ha avuto un obiettivo diverso. In Siria e in Iraq l'obiettivo era quello di indebolire i gruppi curdi, sostenuti dagli Stati Uniti, e di fermare il flusso di rifugiati. In Libia l'obiettivo principale era soprattutto quello di preservare o rafforzare la sua influenza, assicurando al contempo un accordo sui confini marittimi nel Mediterraneo, che ha alimentato le tensioni con l'Ue.

Ankara è ai ferri corti con la Grecia e Cipro per le trivellazioni esplorative nel Mediterraneo orientale, anche nelle acque rivendicate da Atene e Nicosia.

Bruxelles l'ha ripetutamente invitata a fermare le sue attività "illegali" di trivellazione e di esplorazione energetica nell'area e all'inizio di questo mese ha minacciato di imporre sanzioni al più tardi a dicembre se il dialogo sulla questione non progredisce.

"La posizione della Turchia sul Mediterraneo orientale non è cambiata. Era la stessa prima di Erdogan e lo sarà anche dopo Erdogan. Questa è una politica statale, una politica bipartisan - ha sottolineato Ulgen - se il rapporto con l'Ue fosse stato più stabile, più produttivo, più lungimirante, di certo non avremmo assistito a questo scenario".

Ma se da un lato la politica estera più indipendente di Ankara ha portato a un significativo raffreddamento delle relazioni diplomatiche con Washington e Bruxelles, dall'altro non è riuscita ad assicurarsi nuovi alleati.

"Non ce ne sono molti - sottolinea Scazzieri - la Turchia è molto vicina al Qatar, al Gna della Libia (il governo di accordo nazionale sostenuto dall'Onu), all'Azerbaigian. E ha legami anche con il Pakistan, ma meno forti".

"La critica principale che sentiamo molto spesso a livello nazionale - dice Ulgen - è che una politica estera più assertiva non ha portato la Turchia a rafforzare il suo partenariato regionale. Al contrario, ha portato a una situazione in cui la Turchia si trova più isolata a livello regionale".

La sostenibilità di questa politica è discutibile. La Turchia ha avuto "un discreto successo" sul fronte militare, ha detto Scazzieri, aggiungendo però che c'è il rischio che Ankara abbia tirato troppo la corda. Per Scazzieri il tempo della Turchia in Siria potrebbe essere limitato "dato che il presidente siriano Bashar al-Assad e la Russia vogliono riprendere l'intero paese".

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Ma per Ulgen, poiché la politica estera della Turchia è sempre più intrecciata con l'agenda interna, il modello attuale può essere sostenuto in una certa misura.

"Questa topografia regionale - dice - ha un impatto sull'agenda politica interna perché tende ad alimentare la narrazione che la Turchia sia sotto assedio, che i suoi interessi siano attaccati da una coalizione di Paesi e che quindi la Turchia abbia bisogno di una politica estera forte, di una maggiore fiducia nel duro potere e di una forte leadership per superare queste sfide".

"L'Ue ha fatto un pasticcio"

Gli Stati Uniti e l'Ue hanno fatto finora poco per frenare le ambizioni estere della Turchia a causa della perdita di interesse dell'amministrazione Trump per la Siria e l'Iraq dopo la sconfitta dell'Isis e le lungaggini burocratiche di Bruxelles.

Un cambio di amministrazione a Washington potrebbe portare a una posizione più ferma degli Stati Uniti nei confronti di Ankara che "potrebbe cambiare le dinamiche della regione", ha osservato Scazzieri.

Per quanto riguarda l'Europa, tuttavia, "non c'è alcuna volontà di imporre sanzioni alla Turchia perché, dopo tutto, è un membro della Nato, un partner economico e un paese stabile in una regione instabile".

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Per Ulgen anche se l'Ue imponesse delle sanzioni, sarebbero probabilmente "superficiali". "Non avranno mai un impatto sulla Turchia. Al contrario, creeranno ulteriore acrimonia e allontaneranno ulteriormente la Turchia dall'Ue. Dobbiamo affermare senza ambiguità che l'Ue ha fatto un pasticcio per quanto riguarda la Turchia".

L'agenda a favore delle riforme della Turchia "è stata abbandonata" a causa dello stallo dei negoziati di adesione e dell'"errore strategico" del blocco di accettare Cipro prima che le divisioni politiche sull'isola fossero state risolte.

"Oggi l'Ue si trova nell'impossibilità di avere un impatto concreto sulle azioni della Turchia", il rapporto è "asimmetrico" con pochi quadri di cooperazione positiva. "L'unico accordo in piedi - dice Ulgen - è quello sui rifugiati, e anche lì credo che il rapporto di potere sia a vantaggio della Turchia".

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