Kosovo, aria irrespirabile ma 9 lampadine su 10 continuano ad andare a carbone

Kosova B (Termocentrali Kosova B)
Kosova B (Termocentrali Kosova B) Diritti d'autore Foto: cortesia Davor Pehchevski, Bankwatch
Diritti d'autore Foto: cortesia Davor Pehchevski, Bankwatch
Di Marco Carlone e Daniela Sestito
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Kosovo A e B sono due centrali a carbone. Si trovano vicino Pristina, a poche centinaia di metri l'una dall'altra. Kosovo A e B sono il primo e il terzo produttore di PM2.5 in Europa e rendono il Kosovo i 3° posto per peggiore qualità dell’aria in Europa.

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Bulevard Bill Clinton è un grande vialone di Pristina, la capitale del Kosovo. Una grande statua del presidente statunitense accoglie il traffico diretto in centro, mentre dal lato opposto si dirige verso l’Albania, diventando un’autostrada. Da lì a poche centinaia di metri, la città diventa periferia, e una lunga discesa porta le auto nella piana che si spalanca sotto la città. Qui, due vecchie strutture mastodontiche, distanti poche centinaia di metri l’una dall’altra, sbuffano fumi di diverso colore.

Sono Kosovo A e Kosovo B, le due centrali a carbone del paese, e producono il 90% dell’elettricità nazionale. Costruite in epoca jugoslava - la A nel 1962, la B nel 1983 - sono anche le principali responsabili dell’inquinamento atmosferico kosovaro, come sostiene un documento firmato da OMS e UNDP.

Secondo diversi organismi internazionali, il quadro dell’inquinamento kosovaro è preoccupante, e sotto vari fronti.

Nel suo ultimo report, l’Agenzia Europea per l’ambiente colloca il paese al terzo posto per peggiore qualità dell’aria in Europa. Nel 2016, invece, l’organizzazione non profit HEAL ha misurato i livelli di PM2.5 e PM10 emessi dalle centrali a carbone dei Balcani occidentali.

Kosovo A e B sono risultati il primo e il terzo produttore di PM2.5 in Europa: 7.500 tonnellate di sostanze inquinanti emesse in un anno, e si tratta di particelle grandi circa ⅓ di un globulo rosso.

Foto: cortesia Davor Pehchevski, Bankwatch
L'impianto termoelettrico Kosova AFoto: cortesia Davor Pehchevski, Bankwatch

Nel 2016, il governo ha deciso di inserire le due centrali nel Piano Nazionale di Riduzione delle Emissioni, un progetto – condiviso anche da Bosnia, Macedonia del Nord e Serbia - di graduale ammodernamento degli impianti, con dei tetti di emissione a valore decrescente fissati per 2018, 2023, 2026 e 2027.

Ciononostante “l’efficienza dell’unità A non supera il 24% ed è pure complesso fare manutenzione per l’obsolescenza degli impianti. L’unità B invece è più recente, ma i filtri non sono mai stati cambiati dalla sua costruzione, nel 1983” racconta Besfort Kosova, un ricercatore della ONG Balkan Green Foundation che ha sede a Pristina.

Quello strato nero che rimane sul dito quando si tocca un muro

Le centrali sono la sorgente più intensa e costante di inquinamento, ma costituiscono solo una parte del problema.

Il traffico veicolare e soprattutto i sistemi di riscaldamento domestici alimentati anch’essi a carbone creano durante la stagione più fredda dei veri e propri muri di smog, spesso indistinguibili dalle nuvole o dalla nebbia. “E basta passare il dito su un muro per rendersene conto,” continua il ricercatore “quello strato nero che rimane sono le ceneri della combustione fossile”.

L’infrastruttura che porta l’elettricità nelle case di tutto il paese è una bacinella piena di buchi.

L’Ong Bankwatch nel 2018 ha registrato perdite nel sistema di distribuzione pari al 28%, “che nel 1999 superavano il 45%” sostiene Kosova. “Un problema che deriva, sì, dall’obsolescenza delle infrastrutture e dalla mancanza di efficientamento, ma anche da furti e moltissimi allacciamenti illegali”.

Foto: cortesia Davor Pehchevski, Bankwatch
Il cielo plumbeo del Kosovo, costantemente immerso in una cappa grigia. In lontananza: la centrale Kosovo BFoto: cortesia Davor Pehchevski, Bankwatch

Niente petrolio né gas: si continua a bruciare carbone

Il Kosovo non produce nè petrolio nè gas, e non può neanche contare su impianti idroelettrici che, in diversi paesi balcanici, contribuiscono in maniera rilevante alla fornitura di energia.

La strada più facile, dunque, è quella della lignite - una tipologia di carbone tra i meno pregiati e più inquinanti - che riposa in enormi giacimenti sotto il suolo kosovaro. Una risorsa ancora indispensabile per il paese, quindi, ma che difficilmente si concilia con le condizioni dell’Energy Community - un’organizzazione internazionale che ha lo scopo di creare un mercato unico energetico con i paesi e gli standard dell’UE, e di cui il Kosovo fa parte.

“L’Energy Community ha la possibilità di avviare una risoluzione delle controversie con il governo del Kosovo in caso di violazioni, ma al momento il meglio che può fare è dire loro cosa stanno facendo di sbagliato. In realtà il governo del Kosovo non è obbligato a far nulla, e le possibili multe dell’Energy Community sono troppo basse”, spiega Davor Pehchevski, della ONG Bankwatch.

Costa meno pagare una multa che mettersi in regola

“In questo momento è in corso una revisione del trattato dell’Energy Community, e credo che uno dei temi principali sia la creazione di un sistema di multe proporzionate. In Kosovo le ammende sono troppo basse rispetto alla violazione della legislazione che stanno commettendo. Investire in apparecchiature per la desolforazione costa milioni di euro, mentre le multe decine di migliaia”, conclude.

La strada verso la decarbonizzazione è ancora ben lungi dall’essere imboccata, visto che nel dicembre 2017 il governo ha stretto un contratto con la società britannica ContourGlobal per la realizzazione di una nuova centrale a carbone da 450 MW.

Un obiettivo che, secondo il segretario dell’Energy Community Janez Kopač, avrebbe mandato in bancarotta il paese per i suoi costi proibitivi. Nel marzo del 2020 però, la ContourGlobal ha abbandonato il progetto dichiarando l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi richiesti.

Il trucco dietro ai dati sulle energie rinnovabili

Secondo i dati dell’Energy Community, il Kosovo avrebbe raggiunto una quota del 22,9% di energie rinnovabili nel 2017, in linea con l’obiettivo del 25% fissato per il 2020.

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Ma questo sarebbe avvenuto solo grazie a una revisione dei dati statistici, inserendo fra le fonti che generano energia anche l’utilizzo casalingo delle biomasse legnose.

Attività che, sostiene Kosova “provoca un forte impoverimento del patrimonio forestale - spesso tagliato illecitamente, crea erosione e distrugge gli habitat naturale. Un’attività insostenibile”.

Foto: Marco Carlone
Un angolo di paradiso, ancora possibile in Kosovo. Il patrimonio forestale è a rischio a causa dell'utilizzo casalingo della legna per riscaldarsiFoto: Marco Carlone

Una timida boccata d’aria proviene dall’eolico. Nel nord del Kosovo è infatti in costruzione un impianto da 105 MW e la European Bank for Reconstruction and Development ha concesso a una società turca un prestito da 18 milioni di euro per la costruzione di un altro parco eolico nell’est del paese.

“Ufficialmente il processo di transizione energetica terminerà nel 2060, ma non ci sono documenti governativi che lo definiscono, solo dichiarazioni ufficiose” conclude Kosova.

Nel frattempo, le ceneri della lignite continuano a rendere un po’ più grigio il cielo della capitale, anche quando d’inverno, sopra la cappa, splende il sole.

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