Tutti i dubbi sulle spese e sull'operato delle Ong italiane nei centri di detenzione libici

Il centro di detenzione di Tajoura, ad est di Tripoli, bombardato nel luglio 2019 (53 morti, 130 feriti). La Ong Helpcode vi aveva svolto interventi strutturali
Il centro di detenzione di Tajoura, ad est di Tripoli, bombardato nel luglio 2019 (53 morti, 130 feriti). La Ong Helpcode vi aveva svolto interventi strutturali Diritti d'autore MAHMUD TURKIA/AFP or licensors
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Di Lillo Montalto Monella
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Subappaltano i servizi a contractor locali che non riescono a controllare, rendicontano spesso in maniera vaga le proprie spese e arrivano perfino a costruire strutture poi utilizzate dai trafficanti. Il tutto con soldi pubblici. La denuncia in un nuovo rapporto Asgi.

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Tutti sanno che in Libia c’è una guerra in corso e veri e propri “campi di concentramento” (definizione Unhcr) in cui i migranti sono torturati, venduti e uccisi.

In pochi però sanno che in questi centri di detenzione operano anche delle Ong italiane pagate con fondi pubblici. Ancor meno si sache le poche Ong italiane che hanno scelto di lavorare in Libia, a Tripoli e dintorni non ci mettono mai piede.

Si chiamano Emergenza Sorrisi, Helpcode, Cefa, Cesvi, Terre des Hommes.

Secondo uno studio uscito mercoledì 15 luglio, queste Ong subappaltano i servizi a contractor locali che non riescono a controllare, rendicontano spesso in maniera vaga le proprie spese e arrivano perfino a costruire strutture poi utilizzate dai trafficanti.

Interventi che legittimerebbero e darebbero un contributo materiale alla stessa esistenza dei centri di detenzione.

La denuncia arriva da un rapporto dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), che per oltre due anni ha analizzato 9 progetti pagati dal Ministero degli Esteri (Maeci) e gestiti dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo (Aics).

Le Ong italiane in Libia possono disporre di una dotazione di sei milioni di euro: soldi pubblici che l’Italia ha affidato loro tramite bandi.

L'Asgi, che si concentra su tre bandi in particolare, segnala che da Roma nessuno sa come vengono spesi esattamente questi sei milioni.

Oppure, se il governo lo sa, non lo dice. Ha opposto infatti rifiuto alla richiesta di accesso al testo dei progetti approvati.

In uno dei rendiconti finanziari di queste Ong si legge:

“fornitura di medicinali e kit nutrizionali”: 1 unità del costo di 38.000,00 euro.

Cosa è stato fornito? A quanti migranti? Per quanto tempo? Non è dato saperlo.

Le rendicontazioni, scrive Asgi nella sua analisi, contengono “voci di spesa generiche, approssimative e talora di importi identici ed arrotondati. [...] “Non vi è mai un elenco preciso delle voci di spesa effettuate, sicché non è possibile comprendere come siano stati calcolati il valore unitario di ciascuna attività o il numero di unità erogate”.

Quali Ong italiane operano in Libia e cosa fanno

Le Ong capofila dei progetti assegnatari dei bandi in Libia sono: Emergenza Sorrisi, Helpcode, Cefa, Cesvi, Terre des Hommes.

Si avvalgono di altre Ong partner come Consorzio Italiano Rifugiati e Fondazione Albero della Vita.

Il loro intervento è stato criticato da operatori del settore, esperti, giornalisti e da chi si occupa di cooperazione e sviluppo. L'attuale presidente dell’Associazione ONG italiane, Francesco Petrelli, ha espressamente affermato che la grande maggioranza delle Ong italiane ha rifiutato di partecipare ai bandi proprio perché “non era possibile avere direttamente alcun tipo di controllo” sui destinatari effettivi dei beni.

Non ci sono garanzie infatti che i kit medici e igienici forniti ai migranti in detenzione, per esempio, finiscano davvero nelle mani di chi ha bisogno e non in quelle degli aguzzini.

Fonte: Asgi
Rendiconto finale dell'Ong CEFA: 82.300.00 euro di kit igienici. "Risulta oscuro come sia stato calcolato il valore delle singole unità e quali beni rientrino al loro interno"Fonte: Asgi

Stando ai bandi, queste Ong dovrebbero cercare di alleviare le sofferenze dei più debol nei centri di detenzione: offrire cure mediche, acqua ed igiene, supporto e counselling psico-sociale, alimenti e generi di prima necessità e talvolta protezione.

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Leggendo però i rendiconti pubblicati da Asgi - ma anche sfogliando i siti Internet di alcune di queste Ong, come quello di Helpcode - si scopre come siano stati realizzati anche interventi per mettere sicurezza recinzioni e cancelli.

È successo per esempio nel caso di Khoms/Souq al Khamis e Al Judeida/Sabaa, in cui i detenuti sono oggetto di gravi e sistematiche violazioni dei diritti fondamentali.

In quest’ultimo, rivela un’inchiesta AP, i migranti sono “stati costretti a costruire un’altra ala della prigione pagata con soldi del governo italiano”.

Aiutare gli aguzzini a migliorare le strutture detentive, se non addirittura ad ampliarle, potrebbe creare i presupposti per continuare ad utilizzare tali strutture e ospitare nuovi detenuti in condizioni inumane in maniera illegittima, scrive Asgi.

Secondo gli avvocati dell’associazione, potrebbero configurarsi anche conseguenze penali: “tali condotte potrebbero assumere rilevanza ai fini di un’ipotesi di concorso esterno nei reati commessi da altri ai danni delle persone detenute nei centri".

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Sostituirsi alle responsabilità del governo libico

Non solo. Nei bandi è esplicitamente indicato che l’intervento delle Ong con i soldi pubblici - si attinge dal Fondo Africa, che ha una dotazione di 200 milioni - “non debba rappresentare un sostituto alla responsabilità del Governo [libico]”.

Ciononostante, distribuire cibo, medicinali, coperte, ma anche interventi strutturali quali il ripristino del sistema idrico e dei bagni, sembrano prefigurare “un (temporaneo) subentro alle autorità del ministero dell’interno libico nel provvedere a tutti i principali bisogni quotidiani della popolazione detenuta”, scrive Asgi.

Di fatto, le Ong italiane si starebbero sostituendo “in modo organico a queste fondamentali responsabilità del governo libico”.

Come assicurarsi che gli aiuti arrivino ai più bisognosi?

È inoltre impossibile per queste Ong monitorare gli aiuti finanziati e sapere se sortiscono gli effetti sperati.

I bandi non prevedono, ed anzi vietano espressamente, la presenza di personale italiano in Libia al fine di attuare gli interventi. Come controllare allora che gli implementing partner libici non “subdeleghino” ad altri soggetti l’erogazione di beni e servizi all’interno dei centri?

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“In assenza del testo dei Progetti approvati, non è possibile comprendere in cosa consistano le strategie di mitigazione dei rischi”, scrive Asgi.

Di tutte le Ong, solamente una - Helpcode - rivela (sul proprio sito) di usare una app per controllare da remoto la distribuzione dei beni. Si tratta di un sistema che consente la visualizzazione di immagini satellitari degli automezzi che trasportano i beni diretti ai centri e tracciarne gli spostamenti, fino ad assicurarsi del loro arrivo a destinazione. Gli operatori sul campo possono inviare aggiornamenti e foto in tempo reale.

Ma perché a farlo è una sola Ong? Asgi si domanda se si tratta di eccesso di zelo da parte di Helpcode oppure "tale controllo, pur essendo necessario, non è stato attuato, e quindi le ONG diverse da Helpcode hanno colpevolmente omesso di verificare l’effettiva erogazione dei beni e dei servizi ai destinatari”.

Diverse inchieste hanno dimostrato come in molti casi i carcerieri dei centri di detenzione si approprino degli aiuti umanitari distribuiti.

Nel corso del programma Le Iene andato in onda il 28 aprile 2019 il giornalista Gaetano Pecoraro ha riportato la posizione di alcuni migranti secondo i quali gli aiuti delle ONG che operano nei centri non arrivano effettivamente ai detenuti.

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In definitiva, conclude Asgi, le spese rendicontate da ciascuna ONG ed approvate dall’AICS corrispondono, nei fatti, “a spese sostenute da soggetti libici fuori dal controllo effettivo del governo italiano, all’interno di centri libici gestiti da milizie armate fuori dal controllo effettivo del governo libico”.

I bandi, “ideati nella piena consapevolezza delle gravi e diffuse violazioni che si consumano nei centri, e aventi come obiettivo di ridurne l’entità, ma non di eliminarle del tutto (”) finiscono per (creare “) perpetuare l’esistenza di un sistema di detenzione di cittadini stranieri "in condizioni inumane”, al fine di impedire loro di raggiungere il territorio europeo e di esercitare il loro diritto di chiedere protezione internazionale

L’ingresso irregolare in Libia costituisce di per sé un reato punito con la reclusione. Tutti i migranti irregolari presenti in Libia possono essere colpiti da una sanzione detentiva.

Su circa un milione di persone che hanno bisogno di aiuti umanitari nel Paese, di cui 625mila migranti, i detenuti nei centri gestiti dalle milizie (su cui il governo di Tripoli ha solo un controllo nominale) sono poco più di 5mila, come stima Unhcr.

Nei bandi non è prevista alcuna misura volta a tentare di limitare la commissione di gravi abusi ai danni dei migranti.

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