La Striscia è stata poco toccata dalla pandemia e si sono potute evitare le misure di lockdown. Sarti e aziende tessili hanno aumentato il giro d'affari, me per il lavoratori occasionali la situazione è ben diversa
Quattordici anni di conflitto hanno costretto alla chiusura di molte fabbriche e imprese a Gaza. Le opportunità di lavoro sono poche. Anche se il territorio palestinese è stato relativamente poco colpito dalla pandemia di coronavirus, le condizioni economiche sono sempre più difficili.
Ma per alcune piccole aziende tessili non è così, come spiega Alaa Ismael Jahjouh, proprietario di una società di tessuti: "Stiamo esportando le nostre mascherine e tute protettive in grandi quantità, verso Israele o in Europa. Produciamo 5.000 mascherine e 500 tute protettive al giorno. La nostra produzione si era interrotta, ma il coronavirus è arrivato e ci ha dato lavoro. Abbiamo la capacità di lavorare e produrre molto di più, ora".
Poiché Gaza finora è riuscita a evitare il lockdown, alcune imprese manifatturiere stanno prosperando. "Viviamo sotto assedio e questo ha avuto un grande impatto su di noi, come sarti. Il coronavirus ha creato una nuova realtà ovunque, ma per noi ha anche creato nuove opportunità di lavoro. Questo non esisteva prima e ora molti dei laboratori confezionano tute protettive e le esportano in Israele", dichiara Abd Al Raouf Abu Asi, sarto.
Ma mentre la pandemia ha fatto la fortuna di alcune aziende, i lavoratori occasionali di altri settori stanno soffrendo. "Le stime indicano che i lavoratori occasionali si sono aggiunti ai disoccupati, innalzando il tasso di disoccupazione a più del 70%", racconta Abu Mudalala, professore di Economia all'Università di Al-Azhar.
E se la pandemia fosse arrivata fin qui, secondo l'Onu, Gaza avrebbe dovuto affrontare non solo una catastrofe economica, ma anche umanitaria.