Coronavirus, vivere in lockdown: lezione dai sopravvissuti alle guerre e agli assedi

Coronavirus, vivere in lockdown: lezione dai sopravvissuti alle guerre e agli assedi
Diritti d'autore Una foto del febbraio 1993 di Sarajevo sotto la neve e le bombe dell'esercito assediante serbo - AP
Diritti d'autore Una foto del febbraio 1993 di Sarajevo sotto la neve e le bombe dell'esercito assediante serbo - AP
Di Associated Press
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Gaza, Cuba, Sarajevo, Libano, Kashmir: torna l'incubo del blocco totale e del confinamento, ma questa volta contro un nemico invisibile.

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La pandemia di Covid-19 sta colpendo duramente i paesi più ricchi del mondo tra ospedali al collasso, economia paralizzata, voli a terra e quarantena di massa. Uno scenario apocalittico per qualcuno, ma non per tutti: per milioni di persone in tutto il Medio Oriente - ma senza andare troppo lontano, anche nei Balcani - si tratta di una situazione tristemente familiare. 

È in momenti come questi che le vittime delle guerre dimenticate possono offrire conforto e qualche consiglio su come superare questo difficile periodo.

In pochi, per esempio, hanno più esperienza dei palestinesi in materia di confinamenti forzati. Durante la rivolta conosciuta come Seconda Intifada, all'inizio degli anni 2000, Israele ha chiuso l'accesso per intere settimane a parti della Cisgiordania e della striscia di Gaza, avvalendosi di posti di blocco e del coprifuoco. Nel 2002, Israele lo ha imposto su Betlemme 24 ore su 24, per settimane, mentre le truppe combattevano contro i militanti palestinesi rintanati nella Chiesa della Natività.

Jamal Shihadeh ricorda di essere rimasto bloccato in casa per 25 giorni prima di riuscire a sgattaiolare via, fuggendo in un vicino insediamento ebraico per lavorare. Ha dovuto dormire in una fabbrica fino a che gli israeliani non hanno revocato le misure. 

Ora è di nuovo bloccato a casa. Israele e l'Autorità Palestinese hanno sigillato Betlemme e limitato severamente i movimenti dopo che diversi residenti e turisti sono risultati positivi al Covid-19.

Il virus causa solo sintomi lievi nella maggior parte dei pazienti, che si riprendono nel giro di poche settimane. Ma è altamente contagioso e può causare gravi complicazioni - tra cui polmonite - in particolare nei pazienti più anziani o con problemi di salute. 

"Un'epidemia è una cosa molto più grave di un'invasione israeliana", dice Shihadeh. "Possiamo evitare i soldati, ma non sono sicuro sia possibile stare lontani da un virus".

Assieme alla moglie e ai figli - tutti bloccati in casa dal 5 marzo - vive più o meno come nel 2002. Guardano il telegiornale e le soap opera arabe in TV, giocano a carte e passano il tempo insieme, aspettando che la situazione migliori.

Agosto 2005, durante l'Intifada palestinese. Siamo nei pressi di Khan Younis, vicino all’insediamento israeliano di Neve Dekalim - AP Photo/Karel Prinsloo

Gaza: "Tutto il resto perde importanza"

La Striscia di Gaza è sotto blocco israeliano ed egiziano da quando il gruppo militante islamico Hamas ha preso il potere nel 2007. I viaggi in entrata e in uscita sono fortemente limitati, e molti palestinesi sono rimasti intrappolati nelle loro case per giorni o settimane durante le tre guerre che Hamas ha combattuto con Israele.

Durante il conflitto del 2008-2009, Mohammed al-Attar è stato svegliato un mattino dal suono di carri armati, aerei e spari. A quel punto, gran parte della sua famiglia allargata si era già riunita al piano terra: circa 80 persone dormivano tra soggiorno, cucina e aree lontane dai muri esterni o dalle finestre.

Avevano fatto scorta di materassi e di beni di prima necessità, ma dopo cinque giorni hanno dovuto alzare bandiera bianca ed essere evacuati in una scuola adibita a rifugio d'emergenza. 

"Pregavamo soltanto che tutto questo avesse fine e di non morire. Tutto il resto non aveva importanza".

Nella Striscia di Gaza, una delle aree più densamente popolate al mondo e con un sistema sanitario fatiscente, i casi ufficiali sono 9, quelli reali potrebbero essere molti di più. Il coronavirus potrebbe fare più male qui che altrove.

In un territorio dove vivono 2 milioni di persone sono a disposizione solamente 70 posti letto in terapia intensiva e 60 ventilatori - di qui 45 già in uso da pazienti con altri disturbi. Già prima della pandemia gli abitanti della Striscia hanno dovuto imparare a far fronte alle difficoltà quotidiane. La maggior parte di loro riceve elettricità solamente per poche ore al giorno, l'acqua del rubinetto è imbevibile e il tasso di disoccupazione è di circa il 50%. 

È stato quasi sempre difficile andarsene, anche per chi se lo può permettere - per non parlare degli ultimi tempi, da quando i confini con Israele ed Egitto sono stati ancor più sigillati.

Sarajevo: stavolta ce lo aspettiamo

A Sarajevo, l'esperienza della serrata dovuta la coronavirus ha fatto rivivere i ricordi dolorosi del lungo assedio di 46 mesi, con la capitale bosniaca circondata dalla morsa delle truppe serbe asserragliate sulle colline e le montagne circostanti. 

Ogni giorno colpi di mortaio e proiettili di cecchini mietevano vittime tra la popolazione civile. Cibo, acqua ed elettricità erano scarsi, e le truppe di Ratko Mladić non esitavano a fare fuoco su chi si avventurava fuori dalle proprie case. 

Il genere di cose di cui si sente parlare al telegiornale, il genere di cose che accade solamente nei paesi lontani - o almeno questo era quanto pensava la gente di Sarajevo fino all'aprile 1992. Fin quando poi è capitato a loro. 

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Aida Begic, regista cinematografica, all'epoca era un'adolescente. Ricorda che anche dopo l'inizio dei combattimenti in altre parti del paese nessuno a Sarajevo pensava che la guerra sarebbe arrivata fin lì. 

"Poi è successo, ed è durato tre anni e mezzo", confida all'agenzia AP. "Quando succede una cosa del genere [la pandemia], però, non dubitiamo che possa capitare anche a noi. Ce lo aspettiamo, siamo certi che accadrà". 

Ora nella capitale della Bosnia ed Erzegovina in molti tornano indietro con la memoria e fanno frutto dell'esperienza della guerra. Alcuni comprano stufe a legna, patate da semina e cipolle. Begic conosce persone che hanno fatto stock anche di 40 chili di farina.

"Qualcuno che non ha avuto la nostra esperienza potrebbe non ricordarsi di comprare una crema per il viso in più, o altri prodotti simili di uso quotidiano", ha detto. "Ma noi ci ricordiamo delle cose che ci sono più mancate durante la guerra".

Un nemico che non conosciamo

Hanaa al-Yemen, 52enne madre di tre figli, della città portuale libanese di Sidon, ha vissuto la guerra civile del suo Paese dal 1975 al 1990 e vari altri episodi di violenza, tra cui la guerra del 2006 tra Israele e il gruppo militante Hezbollah.

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Ma, parlando della pandemia di Covid-19 e delle misure adottate per contenerla, ammette di non aver mai visto nulla di simile.

"Eravamo così spaventati dagli aerei da guerra e dai bombardamenti casuali, ma c'erano volte in cui potevamo ancora uscire ed andare a lavorare", ha detto. "Oggi siamo di fronte ad un nemico e ad un pericolo che non conosciamo, che non possiamo vedere o toccare, e che può colpire noi o un membro della nostra famiglia in qualsiasi momento".

Cuba abituata a fare scorte da decenni di sanzioni

A Cuba, che ha dichiarato un lockdown di 30 giorni, dopo decenni di sanzioni statunitensi e diversi periodi di grave stagnazione dell'economia pianificata, gli abitanti sono diventati maestri dell'autosufficienza. "Conserviamo sempre tutto", indica Taimy Martinez, amministratore di 41 anni in un'azienda statale. "Se abbiamo del pollo, lo usiamo poco a poco". Se abbiamo soldi, compriamo cibo in scatola;  zucchero, un po' di pane per fare toast, e li facciamo durare. Posso sopportare una quarantena di tre settimane se iniziamo oggi", le sue parole. 

In questa foto dell'agosto 2019, un paramilitare indiano fa la guardia durante il coprifuoco a Srinagar, nella parta del Kashmir controllata dall'India - AP

Nella contesa regione himalayana del Kashmir, l'isolamento è un dato di fatto da decenni. Il Pakistan e l'India rivendicano ciascuno l'altra metà del territorio, mentre i residenti chiedono l'indipendenza o di essere annessi al Pakistan.

Lo scorso agosto, l'India ha revocato la semi-autonomia della regione. Temendo proteste di massa o una vera e propria rivolta, ha ordinato ai 7 milioni di persone della regione di rimanere in casa per mesi e ha imposto un blackout informativo, tagliando internet e persino il servizio telefonico. Le truppe indiane hanno arrestato migliaia di persone per anticipare le proteste.

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"Posso elencare almeno una mezza dozzina di cose che i coprifuoco e i blocchi di sicurezza ci hanno insegnato", dice l'insegnante Sajjad Ahmed.

Ahmed indica che i volontari si sono già mobilitati per aiutare gli anziani e gli infermi; i genitori hanno imparato a educare i propri figli a casa e quasi tutti hanno rudimenti più che basilari di primo soccorso in quanto spesso tocca curare i feriti che risultano dagli scontri con le forze di sicurezza. Quando intere famiglie allargate sono bloccate in casa per settimane o mesi, si condividono storie, e questo aiuta la comunità a dare un senso di epicità alla propria resilienza in tempi difficili. 

"L'esperienza ci ha aiutato a riscoprire il valore della famiglia e del dialogo sociale", aggiunge Ahmed.

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