Ricaduta da coronavirus: è possibile ammalarsi due volte?

Ricaduta da coronavirus: è possibile ammalarsi due volte?
Diritti d'autore Mascherine a Tokyo lo scorso 27 gennaio - AP, Eugene HoshikoEugene Hoshiko
Diritti d'autore Mascherine a Tokyo lo scorso 27 gennaio - AP, Eugene Hoshiko
Di Rachael Kennedy
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Gli esperti contattati da Euronews sottolineano che nulla, a questo punto, è davvero impossibile. L'agente patogeno non è ancora del tutto conosciuto. Tuttavia al momento le priorità per gli scienziati sono i casi da primo contagio e nulla si può ancora concludere a partire dal caso della giapponese

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Una donna di 40 anni che lavora come guida turistica a Osaka, in Giappone, è risultata positiva per la secondo volta al coronavirus. Era stata contagiata alla fine di gennaio dopo essere stata a contatto con turisti provenienti da Wuhan, In Cina.

Dopo un mese di cure in ospedale e un periodo di recupero, era stata dimessa il 6 febbraio scorso. Mercoledì è risultata di nuovo positiva. È la prima volta che un paziente guarito ha una recidiva.

E così ora gli scienziati sono al lavoro per capire se si può prendere la malattia COVID-19 due volte, e come si comporta il virus SARS-CoV-2. Gli esperti contattati da Euronews sottolineano che nulla, a questo punto, è davvero impossibile. L'agente patogeno non è ancora del tutto conosciuto. 

Tuttavia, altri sono gli scenari più probabili rispetto a quello di essere contagiati due volte. 

Connor Bamford, virologo del Wellcome-Wolfson Institute for Experimental Medicine della Queen's University di Belfast, indica ad Euronews che è "improbabile" che la donna sia stata infettata una seconda volta. Si tratta potenzialmente di uno sviluppo importante, ma c'è ancora molto che non sappiamo".

"Inoltre, può essere che siamo di fronte ad un evento raro che potrebbe non avere un grande impatto durante l'epidemia".

Fabienne Krauer, un'epidemiologa di Oslo, Norvegia, ha aggiunto: "Non possiamo dire se si tratta di una reinfezione o di un'infezione persistente, a meno di sapere con certezza che la donna avesse del tutto eliminato il virus dal suo corpo".

APKiichiro Sato

Infezione persistente?

Forse sì. Philip Tierno, professore di microbiologia e patologia alla NYU School of Medicine, ha detto a Euronews che c'è la possibilità che la donna sia stata "originariamente colonizzata" da una malattia simile alla SARS - come quella che dà il coronavirus, senza essere davvero "infetta". 

La donna potrebbe aver avuto inizialmente "un decorso respiratorio moderato o più acuto, senza scatenare la reazione del suo sistema immunitario". 

"Quindi il test di controllo può essere risultato negativo - i test non sono perfetti - e successivamente, la giapponese potrebbe avrebbe sviluppato un'infezione respiratoria significativamente più lieve. Il virus può indugiare nel corpo umano per qualche giorno: è quello che chiamiamo periodo di incubazione".

Si dice che il periodo di incubazione del coronavirus sia di circa 19 giorni, aggiunge lo studioso.

Più semplicemente, secondo Bart Haagmans, virologo dell'Erasmus Medical Centre di Rotterdam, una lieve infezione iniziale potrebbe portare a una risposta limitata del sistema immunitario, permettendo così al coronavirus di "replicarsi in seguito ad una seconda esposizione".

Test non precisi?

"La guarigione delle persone malate di coronavirus è lunga di solito, circa 4-5 settimane, per questo non possiamo pensare a una seconda infezione. Per sapere se le persone guarite hanno sviluppato l’immunità al virus bisogna aspettare alcuni mesi, adesso è presto, e conosciamo ancora poco per capire come lavorano gli anticorpi, in ogni caso sembra strano che siano stati così poco efficaci per non controllare un virus che tra l’altro sappiamo aver subito finora poche mutazioni", indica Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive, al Corriere.

Sia Tierno che Bamford notano come possa trattarsi semplicemente di un errore in fase di test. Il metodo di controllo infatti "non è perfetto", indica Tierno. Comunque, secondo Bamford, è ancora presto preoccuparsi di eventuali secondi contagi. "La stragrande maggioranza dei casi sono primi contagi: è di questi che dovremmo preoccuparci ora".

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