Agricoltori spagnoli contro la grande distribuzione

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"Prezzi non remunerativi imposti dai grandi acquirenti". Accuse anche alla politica agricola di Bruxelles

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Gli agricoltori spagnoli tornano a bloccare le strade di Estremadura e Andalusia per chiedere misure a tutela del settore, seriamente esposto al rischio di un tracollo irreversibile. Nel mirino delle associazioni di categoria la crescente concorrenza da parte di paesi extra-europei, che risultano avvantaggiati da norme ambientali meno stringenti e dal costo inferiore della manodopera. Ma soprattutto, i coltivatori denunciano le politiche aggressive della grande distribuzione, che di fatto impone prezzi non remunerativi e costringe le aziende a lavorare in perdita.

Una situazione inaccettabile per Juan Salvador Torres, dell'associazione di produttori AVASAJA:  "Se parliamo di cosa costa produrre un chilo, ad esempio di arance, e cosa si incassa vendendolo, vediamo che il costo per chilo è di 20-22 centesimi, mentre alla vendita vale solo 18-20 centesimi, cioè lo stesso prezzo da 20 o 30 anni, 18-20 centesimi".

Gli agricoltori spagnoli vogliono fare pressioni anche su ll'Unione europea, impegnata nei negoziati sul futuro della Politica agricola comune, temendo che alla fine vango ridotti gli attuali sussidi. Inoltre, gli accordi tra Bruxelles e alcuni paesi terzi rischiano di aumentare la concorrenza spingendo fuori mercato molti produttori.

"Dipendiamo dal mercato e non possiamo accettare un mercato in preda al caos. Non possiamo competere con paesi che non rispondono ai criteri che invece sono richiesti a noi. Non può esistere un mercato unico in cui le regole sono più strette per chi è dentro e molto meno per chi vi arriva da fuori: non è equo, manca di reciprocità. Non ci sono condizioni uguali per un unico mercato", ribadisce Torres.

In Spagna, dal 1985 in agricoltura si sono persi più di 700mila posti di lavoro, il che ha causato un vero e proprio esodo dalle campagne alle città, e ha aggravanto la crisi demografica delle zone rurali.

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