75 anni fa i sovietici giunsero ad Auschwitz. La fine della Shoah

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Di Sergio Cantone
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75 anni fa i sovietici giunsero ad Auschwitz. La fine della Shoah

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Una giornata, della memoria, particolare. È il settancinquesimo anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, oggi Oscwiecim, nei dintorni di Cracovia, in Polonia.

Quando i soldati dell'Armata rossa, ormai pronti a entrare in territorio tedesco, giunsero qui, spingendo le linee più a ovest sulla direttrice Vistola-Oder. Scoprirono una dimensione spettrale della guerra, diversa dalle altre. I cumuli di cadaveri e gli occhi praticamente morti dei vivi, apparsero come allucinazioni paradossali agli uomini del reparto esploratori della sessantesima Armata.

Tra di essi c'era anche un inviato molto speciale, Vasilij Grossman, talentuosa penna del giornale dell'esercito sovietico Izvestija, Stella rossa_,_ e futuro scrittore di successo, noto in occidente soprattutto per il romanzo _Vita e destino._

Quei fanti venuti da Est, scoprirono settemila prigionieri quasi moribondi. Ricevettero l'ordine di evacuare il campo di sterminio in sei giorni e mezzo.

Erano tutti destinati alla morte. Dovevano sparire come indizi gravi, precisi e concordanti che inchiodavano i loro assassini e persecutori alle responsabilità storiche dello sterminio di massa per selezione razziale.

Le cifre ufficiali relative all'olocausto, parlano di sei milioni di morti ebrei, su quindici milioni, tra rom, sinti, omosessuali, oppositori politici e partigiani dei paesi occupati dai nazi-fascisti.

Ma Auschwitz, un tempo agro dell'orrore, ora è diventato il tempio della memoria. Qui, i governi polacchi, compresi quelli dell'epoca socialista, hanno preservato i baraccamenti, i fili spinati, le torri di osservazione di legno grezzo, e i muri di cinta in mattoncini rossi. Esattamente, quello che vedevano le migliaia di donne, uomini e bambini che arrivavano qui in notti nebbiose e gelide, scaricati dai treni piombati, col fumo delle ciminiere, che preannunciava destini di cenere.

È il dovere della memoria sottolineato dal presidente della Repubblica polacca, Andrzeij Duda, che dice: "nel nome della repubblica di Polonia, dichiaro mio privilegio preservare la memoria e la verità su quello che è accaduto. La verità sull'olocausto non deve morire. La memoria di Auschwitz deve restare viva, affinchè un tale sterminio non possa accadere di nuovo".

Ad Auschwitz, l'ingegneria della sterminio di massa venne perfezionata, con l'assassinio su scala industriale attraverso l'uso sistematico del gas Zyklon-B.

In altri campi invece si moriva in maniera più rudimentale, con il monossido di carbonio, immesso nelle baracche asfittiche dai tubi di scappamento di camion e panzer.

Molte furono, e soprattutto sono, le polemiche se la Soluzione finale in atto, fosse una conosciuta almeno dai leader di allora, compresi quelli del mondo libero.

Per Bat-Sheva Dagan, sopravvissuta alla Shoah, era risaputo, o quantomeno, era un segreto di Pulcinella. La reduce dice infatti: "ho ancora questa sensazioni oggi, dov'erano tutti gli altri? dov'era il mondo che sapeva quello che accadeva, che poteva sentirlo, e non fece nulla per salvare quelle migliaia di vittime"

Ci sono poi gli ultimi testimoni, le ultime generazioni che conobbero il male assoluto

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