Senza tregua e niente embargo. Le fazioni libiche tornano a scontrarsi

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Di Sergio Cantone
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Senza tregua e niente embargo. Le fazioni libiche tornano a scontrarsi, una settima dopo il summit di Berlino. Haftar blocca il 75% del petrolio

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I cessate il fuoco inutili sono una caratteristica della diplomazia moderna. Una foto di famiglia e un sorriso, photo opportunity, per chi mastica l'inglese. Ed ecco incoronato il leader dell'occidente di turno, nella fattispecie l'"aquila bicipite", Merkel/Macron.

Dopo il summit di Berlino di una settimana fa per la tregua tra la fazione di Haftar e Il governo di Tripoli, i contendenti riprendono a spararsi facendo almeno diciassette morti e violando l'embargo sulle armi. Lo dicono fonti delle Nazioni unite.

Secondo lo schema uffficiale, in quel territorio che ormai chiamiamo convenzionalmente Libia, si affrontano due amministratori delegati molto particolari che rappresentano rispettivamente la Russia di Putin e la Turchia di Erdogan.

Haftar minaccia di conquistare Misurata. E la chiusura dei rubinetti petroliferi nelle aree conquistate dalle forze del sedicente governo di Bengasi ha provocato un calo del 75% della produzione libica. Il generale caro a Mosca, e ad alcuni paesi europei, ha interrotto i flussi di oro nero come risposta all'intrusione militare di Ankara. I proventi del greggio vanno ufficialmente alla Banca centrale, che si trova a Tripoli, sotto il controllo del governo di Al Serraj, riconosciuto dalle Nazioni Unite.

Questa è anche una delle cause principali dell'appoggio egiziano a Haftar, accanto a quello di Mosca, oltre naturalmente ai conti in sospeso con Erdogan, che in vista ad Algeri tuona che: "La Libia non può diventare un terreno di scontro tra signori della guerra e terroristi".

Il presidente turco cerca la sponda algerina, per rafforzare la sua posizione in Nordafrica e controbilanciare il ruolo dell'Egitto nel paese lacerato dalla guerra.

Per l'Algeria, potenza regionale, anch'essa ricca di idrocarburi "è importante che la tregua venga rispettata". Sono parole molto diplomatiche, da parte della sempre cauta Algeri, per segnalar eche non gradisce l'eventuale caduta del governo di Al Serraj.

Altra ragione per cui l'Egitto mira alla caduta di Tripoli, è che lì c'è una leadership affine alla Fratellanza musulmana, quindi, automaticamente della stessa sostanza di Qatar e Turchia. Due nemici mortali per i generali egiziani, e per il loro sostenitore finanziario, l'Arabia saudita.

Al momento non sembra esserci una potenza in grado di stabilzzare il paese un tempo guidato da Gheddafi. E gli Stati uniti di Trump, no hanno intenzione impantanarsi in un altro conflitto senza vie d'uscita, come ha potuto verificare il governo italiano nei colloqui di venerdì scorso con il vice-presidente Usa, Mike Pence, a Roma,

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