Sei mesi di proteste a Hong Kong, cosa hanno ottenuto i manifestanti?

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In sei mesi di proteste a Hong Kong, cosa hanno ottenuto i manifestanti? Facciamo il punto dopo la grande marcia di domenica nell'ex colonia britannica.

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Dopo la marcia di domenica, che ha portato per le strade centinaia di migliaia di persone, i cittadini di Hong Kong minacciano nuove azioni dimostrative in quella che viene definita l'ultima occasione per la governatrice Carrie Lam di risolvere la crisi in atto.

Sulle richieste, a partire dal suffragio universale, il movimento per i diritti civili non arretra di un passo. Il corteo si è svolto in modo pacifico, anche se le autorità hanno denunciato episodi isolati di danneggiamento, incluso un principio di incendio davanti al palazzo di giustizia.

Una folla oceanica

Circa 800mila persone - poco più di 180mila, secondo le forze dell'ordine - hanno invaso domenica le strade dell'hub finanziario orientale, nel corteo promosso dal Civil Human Rights Front. Per la prima volta, l’associazione antigovernativa e pro democrazia ha ottenuto il via libera all’iniziativa da parte della Polizia.

La protesta segna i sei mesi dall'avvio delle manifestazioni contro la legge sulle estradizioni in Cina, poi allargatesi per sollecitare riforme democratiche. Appena due settimane fa, le elezioni locali distrettuali hanno sancito la schiacciante vittoria del fronte pandemocratico, che ha ottenuto 388 seggi sui 452 disponibili.

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(AP Photo/Kin Cheung)Copyright 2018 The Associated Press. All rights reservedKin Cheung

Le richieste rimangono lettera morta

I dimostranti non arretrano sulle richieste, a partire dal suffragio universale per l'elezione della carica di governatore. Oggi è l'élite finanziaria a nominarlo, in un ruolo che assomiglia più a quello di un Ceo gradito alla Cina che a un governo espresso democraticamente.

Secondo la Costituzione di Hong Kong, infatti, chi occupa la carica più elevata è scelto da un Comitato elettorale di 1.200 cittadini (più o meno lo 0,01 per cento dei residenti), che esprimono gruppi di interesse politici ed economici della città, oltre a organizzazioni religiose.

I manifestanti pro democrazia chiedono inoltre un'indagine indipendente sugli abusi della polizia in sei mesi di manifestazioni, il rilascio degli arrestati e di non definire più come "ribelli" le persone che partecipano alla mobilitazione. Una definizione sostanziale, perché il reato di ribellione viene punito con 10 anni di carcere nell'ex colonia.

Rivendicazioni che fino a oggi sono rimaste lettera morta. L'unica concessione di Carrie Lam è stata la cancellazione della contestata legge sull'estradizione.

La Cina rimane alla finestra

Pechino ha ripetutamente protestato contro le interferenze esterne negli affari della sua regione amministrativa speciale. L'ultima volta solo pochi giorni fa, quando gli Usa hanno approvato una legge in favore di Hong Kong. "Un'abominazione assoluta" secondo la diplomazia cinese, costata all'ambasciatore statunitense a Pechino la seconda convocazione in quattro giorni appena.

La Cina ha rafforzato la sua presenza militare a Shenzhen, metropoli al confine con Hong Kong, ma si guarda bene dall'intervento militare, confidando nel fattore tempo per esaurire le energie dei manifestanti. Nell'ex colonia, intanto, si annunciano nuove iniziative di protesta.

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