Dalle proteste in Cile a Hong Kong: ecco la mappa del nuovo autunno caldo che attraversa il mondo

Dalle proteste in Cile a Hong Kong: ecco la mappa del nuovo autunno caldo che attraversa il mondo
Diritti d'autore Reuters
Di Rafael Cereceda
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Mentre le proteste in tutto il mondo non si arrestano, aumentano i casi di repressione, uccisione e violazione dei diritti umani ai danni dei manifestanti

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Otto anni dopo la primavera araba, è il momento di un nuovo autunno, altrettanto caldo. Il mondo è attraversato da un'ondata di proteste senza precedenti, da Hong Kong al Cile, passando per la Francia e la Catalogna: nonostante le coordinate geografiche siano molto diverse tra loro, il minimo comune denominatore delle rivolte, a detta delle organizzazioni per i diritti umani consultate da Euronews, è la repressione.

Nonostante questa nuova ondata di proteste abbia analogie con la primavera araba del 2011 - per esempio il ruolo chiave dei social network nella rapida espansione e organizzazione delle manifestazioni - l'estensione delle rivolte della società civile, che hanno abbracciato tantissimi paesi in diversi continenti, è del tutto nuova.

La mappa qui sotto riassume alcune delle battaglie principali di questo "autunno caldo del mondo": per saperne di più sulla situazione del singolo paese basta cliccare sulle icone.

Tante proteste ma un unico denominatore comune

Non importa in che lingua vengano scanditi gli slogan dei manifestanti: l'insostenibile costo della vita, la corruzione e la contestazione politica sono i fattori che hanno portato le persone a scendere in strada, a prescindere dal contesto della rivolta.

Secondo Geneviève Garrigos, responsabile delle Americhe per Amnesty International in Francia, nonostante le complessità e particolarità delle proteste, è possibile individuare alcuni elementi comuni che caratterizzano questo momento storico così eccezionale: la lotta per la salvaguardia dei propri diritti.

"In alcuni paesi, come l'Egitto, il Libano e l'Iraq, le proteste nascono per denunciare la corruzione che nega ai cittadini i propri diritti" afferma Garrigos.

In altri paesi, invece, si è scesi in piazza contro il costo della vita: succede in Francia, Cile o Nicaragua. In questo paese per esempio le proteste si sono scatenate a seguito della riforma delle pensioni, anche se gli studenti si erano già mobilitati contro l'incendio della riserva dell'Indio Maíz.

Molti manifestanti si ribellano contro le disuguaglianze, un caso fra tutti il Cile, che è uno dei paesi con le disuguaglianze più marcate. Contesti con equilibri precari a cui spesso si sommano i problemi derivanti dal cambiamento climatico. 

Un'altra grande famiglia di proteste è quella che denuncia la privazione della propria libertà civile e politica. Lo vediamo a Hong Kong, in Catalogna o in Bolivia, dove le proteste sono scoppiate a seguito di sospetti brogli elettorali o per rivendicare una propria autonomia. 

Reuters/THAIER AL-SUDANI
Manifestanti contro il governo a BaghdadReuters/THAIER AL-SUDANI

La risposta degli Stati è la repressione

Sia Amnesty International che Human Rights Watch concordano nel denunciare che il principale fattore comune di questo "autunno mondiale" è una repressione estremamente violenta. "Ciò che è purtroppo sotto gli occhi di tutti è la risposta delle autorità, che hanno ricorso agli arresti, e hanno in alcuni casi anche ucciso i manifestanti: stiamo assistendo anche all'utilizzo di tecnologie di sorveglianza sempre più sofisticate per reprimere il dissenso, sia online che offline", afferma Claudio Francavilla di Human Rights Watch.

Garrigos commenta: "Si tratta di una repressione estremamente violenta, che mira a punire e creare paura nei dimostranti, la vediamo in modo sempre più sistematico. Scelgono di seminare il terrore per stroncare le proteste sul nascere".

L'esperta di diritti civili sottolinea il numero di feriti e uccisi durante questa questa ondata di proteste in tutto il mondo, con ferite sempre più gravi causate da apparecchiature antisommossa in paesi come in Francia, Cile, Iraq.

"Il diritto di dimostrare di difendere i diritti viene messo in discussione", dice. "Tutto ciò si traduce in una grande polarizzazione che non permette il dialogo con la società civile" conclude l'esperta di Amnesty International.

In ottobre, quando le scintille di alcune proteste covavano ancora sotto le ceneri, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres aveva invitato i governi ad ascoltare i problemi della società civile e a rispettare i diritti dei manifestanti dichiarando: "È chiaro che c'è un aumento della mancanza di fiducia della popolazione nei confronti dell'establishment, mentre aumentano le minacce al contratto sociale".

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