Rapimento di Silvia Romano: da un anno assenza totale di notizie ufficiali

Rapimento di Silvia Romano: da un anno assenza totale di notizie ufficiali
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Di Massimo Alberizzi da Nairobi
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Da allora non si hanno notizie certe sulla sua sorte; solo una ridda di voci, notizie false, depistaggi. Da più parti sono state avanzate ipotesi, teorie, supposizioni. Il tutto condito da un ordine imperativo lanciato con una certa puntigliosità dalla Farnesina: nessuno parli di Silvia Romano.

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Articolo cortesia di Massimo Alberizzi, editor del sito Africa Express che più di tutti ha seguito il caso della cooperante italiana rapita in Kenya

Esattamente un anno fa, il 20 novembre 2018 alle 7 di sera, un commando di sette uomini armati ha rapito a Chakama, un villaggio a un’ottantina di chilometri da Malindi in mezzo al nulla in Kenya, la volontaria Silvia Romano. Da allora non si hanno notizie certe sulla sua sorte; solo una ridda di voci, notizie false, depistaggi. Da più parti sono state avanzate ipotesi, teorie, supposizioni. Il tutto condito da un ordine imperativo lanciato con una certa puntigliosità dalla Farnesina: nessuno parli di Silvia Romano. E così bocche cucite in Italia e la ragazza è praticamente sparita dai media.

Per far luce sulla vicenda occorre indagare in Kenya e in Somalia. Dove si riescono a mettere le mani anche su alcuni documenti. Poche cose sono certe e molte vanno scartate come depistaggi e fake news. Le tre persone che sono accusate del rapimento (Ibrahim Adhan Omar, libero su cauzione, scappato e ora irreperibile; Moses Lwali Chembe, a piede libero per aver pagato la garanzia; Abdullah Gababa Wario, in carcere) hanno confessato di essere stati tra gli autori materiali del rapimento, reclutati da un keniota di etnia somala, Said Adhan, l’organizzatore del crimine. Le investigazioni giornalistiche hanno individuato l’amico dell’accusato Ibrahim che gli avrebbe pagato la cauzione, Juma Suleiman Ngomba, per il quale è stato spiccato un mandato di cattura.

Indagini a rilento per mancata collaborazione

Su questa vicenda ci sono parecchi risvolti inquietanti che aprono la porta ad altrettante domande che meritano una risposta. Innanzitutto – nonostante sia stata sbandierata una fattiva e fruttuosa cooperazione tra inquirenti italiani e kenioti - sembra che le indagini siano andate a rilento, soprattutto all’inizio, proprio per mancata collaborazione. I carabinieri che volevano indagare sono stati bloccati a Nairobi e sono riusciti a visitare Chakama e la stanza dove abitava Silvia, solo il 23 di agosto. Fino a giugno nessuno aveva chiesto alle compagnie telefoniche keniote i tabulati delle conversazioni della ragazza. Si sono persi mesi preziosi a cercare di individuare una pista seria per arrivare al covo dove potrebbe essere stato portato l’ostaggio.

Nessuno ha ancora chiesto alla Somalia i tabulati telefonici

Ora i magistrati romani ritengono che Silvia sia stata portata in Somalia, ma non dicono su quali prove hanno maturato questa convinzione. E’ vero che i rapitori in Kenya hanno parlato con alcuni numeri telefonici al di là della frontiera (lo confermano gli investigatori kenioti), ma nessuno ha ancora chiesto alle compagnie telefoniche somale i tabulati di quelle conversazioni. Al palazzo di giustizia della capitale sono laconici: ”Non sappiamo a chi chiedere i documenti in Somalia”.

Già, l’ex colonia italiana è un Far West impazzito dove imperversano bande armate di tutti i generi e dove nessuno controlla niente. Gli inquirenti, scrive una nota di agenzia, stanno valutando l’ipotesi di inviare alle autorità somale una richiesta di rogatoria internazionale. 

Ma non è chiaro come potrebbe adempiervi il governo di Mogadiscio che, va ricordato, a malapena controlla Villa Somalia, il palazzo presidenziale.

Un comandante dell’intelligence somala contattato per telefono da Nairobi racconta che dovrebbe esserci un video che mostra Silvia prigioniera in un villaggio somalo. Il filmato sarebbe nelle mani degli 007 italiani. Viene attribuito agli shebab, ai miliziani integralisti islamici legati ad Al Qaeda. Solitamente però il gruppo fondamentalista posta su Onternet immagini di questo genere, per cercare di forzare governi e famiglie a pagare velocemente un riscatto. Se un riscatto è stato chiesto e ci fossero trattative in corso, negoziare un prezzo significherebbe allungare i tempi in modo anche significativo.

Le false notizie sui motivi del rapimento

La notizia poi secondo cui Silvia sarebbe stata catturata perché faceva proselitismo è priva di qualunque fondamento: lei è completamente estranea a ogni credo religioso, racconta chi la conosce bene.

Una sua conversione forzata all’islam e costretta a un matrimonio musulmano sembra poi essere frutto della fantasia di qualche spia in vena di sensazionalismi. Se nessuno sa dov’è, come si fanno a sapere le condizioni in cui vive?

L’unica cosa certa e che la mancanza totale di notizie ufficiali autorizza speculazioni di ogni genere. Una situazione di incertezza che può allungare ancora di più il calvario di questa povera ragazza.

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