Diamo milioni di euro alla guardia costiera libica. Chi la monitora? Praticamente nessuno

Diamo milioni di euro alla guardia costiera libica. Chi la monitora? Praticamente nessuno
Diritti d'autore Foto: Reuters
Di Lillo Montalto Monella
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Come fa l'Europa a monitorare che i finanziamenti concessi al governo libico vadano di pari passo con il rispetto dei diritti umani? Semplice: non lo fa.

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Se l'Unione europea decide di finanziare - con oltre 90 milioni di euro negli ultimi due anni - la controversa guardia costiera libica, vi aspetterete che ci sia uno stringente meccanismo di monitoraggio, per capire se questi soldi siano bene investiti o meno.

Forse non vi sorprenderà scoprire che non è così.

In Libia, né l'Italia né l'Europa riescono a controllare come si comportano perfino quelle stesse persone da noi addestrate per pattugliare, a bordo di motovedette - talvolta armate - il tratto di costa occidentale del Paese. Non solo: non esiste nessuna rappresentanza UE permanente nel Paese. E perfino l'operazione militare di sicurezza marittima europea del Mediterraneo centrale non mette piede nel Paese per precauzione.

Vi chiederete quindi perché Bruxelles consideri accettabile che i migranti vengano riportati dalla guardia costiera libica in un paese non sicuro, se gli stessi funzionari europei preferiscono non rischiare, standone alla larga.

Questa contraddizione emerge da un documento classificato che euronews ha potuto visionare. Si tratta dell'unica valutazione disponibile dell'operato della guardia costiera libica da parte di chi concretamente l'addestra, ovvero la missione Eunavfor Med - Operazione Sophia, attiva dal 2015. Ogni sei mesi, la missione - a guida italiana - invia un rapporto confidenziale al Comitato politico e di sicurezza europeo.

Nell'ultimo report disponibile, quello di luglio 2019, si legge che ogni "attività di monitoraggio" sul personale addestrato (335 persone dal 2016) "dovrà essere condizionale al miglioramento generale delle condizioni di sicurezza in Libia, che al momento non consentono al personale della missione di entrare nel Paese". Non solo. Perfino la missione civile di assistenza per la gestione delle frontiere, Eubam, è stata costretta a fare le valigie e "trasferirsi a Tunisi, a causa degli scontri nell'area di Tripoli".

Secondo Chiara Loschi - ricercatrice dell'Università di Vienna - esperta in cooperazione tra agenzie europee e co-autrice di questo studio sull'argomento - "fino all'anno scorso, la delegazione Ue organizzava missioni talvolta di una giornata, con andata e ritorno in aereo speciale da Tunisi; e lo stesso vale per Eubam".

Settimana scorsa, l'equipaggio della nave tedesca Alan Kurdi, della Ong Sea-Eye, ha accusato la guardia costiera libica di aver minacciato con armi da fuoco soccorritori e migranti; a settembre, un migrante sudanese è stato colpito a morte, dopo essere stato riportato a riva. Sia documenti ufficiali Onu che inchieste giornalistiche indicano come alcuni ufficiali libici della guardia costiera colludano con le reti di contrabbando di petrolio, armi ed esseri umani.

Per approfondire ➡️ Libia, Scavo su affaire Bija: "intesa con Libia va rinegoziata, non rinnovata"

L'Operazione Sophia - che non ha il permesso di operare in acque territoriali libiche - può limitarsi solamente a "effettuare delle chiamate e chattare online" con i guardacoste e convocare riunioni periodiche (più o meno ogni sei mesi) nelle quali, naturalmente, i libici "reiterano l'importanza e i benefici dell'addestramento ricevuto".

GoPro ai libici, che però non le accendono o non caricano i video online

Preoccupato anche da come vengono spesi i fondi europei, il portavoce del partito DIE LINKE al Bundestag tedesco, Andrej Hunko, ha effettuato diverse interrogazioni parlamentari sulla guardia costiera libica.

"La Commissione europea ha fornito videocamere GoPro alla cosiddetta guardia costiera libica, così da poter monitorare le violazioni dei diritti umani. Anche le motovedette della classe Bigliani sono dotate di telecamere, che possono essere accese dall'equipaggio. I video registrati durante le missioni dovrebbero poi essere caricati sul portale Eunavfor Med per la loro valutazione", afferma Hunko a e_uronews_. Tuttavia, la Commissione scrive che la qualità e il numero di video forniti non sono ancora sufficienti e che la cosiddetta guardia costiera e la marina hanno difficoltà a caricare le registrazioni, a causa della mancanza di una connessione Internet affidabile. Penso sia una scusa, perché la cosiddetta guardia costiera libica è abbastanza presente sui social media, quindi non può essere colpa di Internet".

Il meccanismo di monitoraggio e consulenza Eunavfor Med si serve anche di droni militari italiani ("Predator") ma, aggiunge Hunko, nell'estate del 2018 "non è stato operativo per diversi mesi".

"Non serve a monitorare la cosiddetta guardia costiera libica" - anche perché non è abbinato a delle vere sanzioni, come richiesto dall'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa (di cui Hunko fa parte).

MIgranti escono da una struttura della guardia costiera libica a Tripoli - REUTERS/Ismail Zitouny

I libici propongono i nomi, l'Europa tende a dire "sì"

Fonti attendibili confermano sotto anonimato a euronews che sono gli stessi libici a scegliere i nomi dei partecipanti ai corsi di formazione europei. Ma non essere presente sul territorio impedisce all'Europa "di capire chi sono davvero queste persone", indica la dott.ssa Loschi.

Non solo. Come si si può leggere in questo saggio pubblicato su una rivista olandese specializzata in diritto, "il meccanismo di monitoraggio del personale della guardia costiera libica addestrato nell'ambito dell'operazione UE comporta la stesura di relazioni da parte di questo stesso personale. Non sorprende, quindi, che la guardia costiera libica non abbia segnalato alcun abuso, nonostante le evidenze suggeriscano il contrario".

Nel documento Eunavfor Med da cui siamo partiti viene indicato che, dal dicembre 2018 al 31 maggio 2019, il meccanismo di analisi preliminare non ha escluso nessuno dei 35 candidati.

Dei "no" sono stati detti, solamente per ragioni di tipo fisico, al 50% dei "cadetti", durante un corso di immersioni in Croazia.

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Operazione Sophia ci ha scritto che non vengono rilasciati commenti su leaked documents, per cui non è dato sapere quanti candidati siano stati rifiutati negli ultimi due anni e su quali basi.

Avete presente Bija? I suoi uomini avrebbero usufruito dell'addestramento europeo

Grazie all'inchiesta di Nello Scavo di Avvenire e all'intervista di Francesca Mannocchi, giornalista dell'Espresso, il caso Bija ha contribuito a riportare la guardia costiera libica sotto i riflettori - a pochi giorni dal rinnovo automatico del memorandum tra Italia e Libia (il 2 novembre).

Abd al-rhman Milad, più conosciuto come Bija, tornerà a fare il capo della guardia costiera libica, sezione di Az-Zāwiyah - come da lui stesso raccontato all'Espresso - nonostante su di lui pendano sanzioni internazionali dell'Onu e un mandato di cattura, emesso dal governo di accordo nazionale (Gna).

Peccato però che la stessa guardia costiera libica sostenga di non averlo mai ricevuto. "Una farsa libica che ha, però, lo scopo di tranquillizzare l'opinione pubblica europea", ci spiega Nello Scavo.

Bija è direttamente coinvolto nell'affondamento di barconi con armi da fuoco, affermano Amnesty e le Nazioni Unite. Eppure, le sue forze "hanno ricevuto una delle barche provviste dall'Italia e alcuni dei suoi membri avrebbero beneficiato dei programmi di addestramento Eunavfor Med/Sophia", si legge in questa richiesta di indagine sulla UE e su alcuni suoi Stati membri - tra cui l'Italia - avanzata alla Corte penale internazionale.

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Per approfondire ➡️ UNHCR in Libia, parte 1: Dalla difesa dei rifugiati a quella degli interessi europei?

Nel documento riservato Eunavfor Med viene indicato come i funzionari europei ritengano importante "intrattenere legami personali e professionali importanti" con il personale della guardia costiera libica. Alcuni membri del comitato libico di esperti, viene aggiunto, "non sono autorizzati a lasciare il Paese".

"Quello che fa Eunavfor Med per sopravvivere è essenzialmente raccolta di dati, intelligence: un ruolo che permette di rivendere la missione come strumento utile, per creare sicurezza, anche se di fatto sta solo comprando tempo. Per l'Italia è strategico gestire una missione UE e continuare ad avere buone relazioni con la Libia", ritiene la dott.ssa Loschi.

Nel luglio 2017, i compiti dell'Operazione Sophia sono aumentati, così da includere anche la lotta al contrabbando di petrolio. Una delle zone calde è proprio Az-Zāwiyah, dove opera Bija. Tuttavia, la mancanza di autorizzazione a operare in acque libiche "limita l'efficacia dell'Operazione" (EEAS 2017c: 29) a tal punto che, a fronte di 236 navi sospettate di essere coinvolte in traffici illeciti - 60 in contrabbando di petrolio* - non è possibile condurre alcuna ispezione a bordo. Anche perché Eunavfor Med dal marzo 2019 è priva di mezzi navali.

Diverse Ong hanno denunciato la presenza di armi a bordo sulle navi della guardia costiera libica (foto d'archivio)- REUTERS/Ismail Zitouny

I diritti umani diventano due moduli di un corso

La missione Eunavfor Med forma il personale libico in basi militari di Paesi come Italia, Grecia e Croazia. Visto "il profondo impegno nell'integrazione dei diritti umani e delle questione di genere nell'operazione", come si legge nel documento, sono stati inclusi due moduli di formazione su diritti umani e questioni di genere.

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In occasione della Giornata internazionale della donna, l'8 marzo scorso, "è stato distribuito un questionario interno, per raccogliere feedback sulla parità di genere", si legge nel rapporto riservato.

"Secondo alcuni dei nostri intervistati, i corsi di formazione sui diritti umani si limitano a pochi giorni, quelli sul genere a poche ore, senza che nessuno sia adeguatamente monitorato o valutato", scrive la ricercatrice Chiara Loschi. "Queste osservazioni, se confermate, potrebbero indurre a ipotizzare che, in alcuni casi, abbia prevalso una mentalità del "fare le cose tanto per dire di averle fatte" (checklist) rispetto a un vero impegno per i valori fondamentali dell'UE".

Il problema della "conclusione legale" del salvataggio

Uno dei problemi principali in Libia, ovvero la terribile situazione nei veri e propri "campi di concentramento" - come li ha definiti lo stesso Alto Commissario dell'UNHCR, Filippo Grandi -, non viene mai affrontato nel documento. Eppure tutti i migranti raggiunti in mare dalla guardia costiera libica vi finiscono inesorabilmente, in una sorta di infernale spirale.

La gestione dei migranti salvati viene definita "conclusione legale": si parla di 4.947 "migranti contrabbandati" sulla rotta del Mediterraneo centrale da dicembre 2018 a maggio 2019, senza distinzione per il loro status giuridico (richiedenti asilo? rifugiati?). Quelli riportati in Libia sono stati 2.141, quelli arrivati in Europa "appena 1.109". La capacità di rispondere a eventi SAR da parte della guardia costiera libica è stata, nel periodo considerato, di oltre il 50%.

Matteo de Bellis, ricercatore di Amnesty International, ritiene che "il monitoraggio non dovrebbe riguardare solo le attività della guardia costiera libica, ma altresì le conseguenze delle attività di cooperazione anche a terra, nei centri di detenzione libici dove avvengono abusi sistematici".

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L'UE è preoccupata per l'affidabilità del suo partner

L'Europa mira a un pieno trasferimento di responsabilità alla guardia costiera libica entro il 2020. I fuzionari della missione Sophia si dicono però preoccupati che, a un certo punto, tutto il denaro speso finora in corsi di formazione - circa 2,7 milioni di euro - possa andare in fumo, in quanto la guardia costiera libica potrebbe smettere di pattugliare il mare davanti a Tripoli per essere invece impiegata a terra, nella guerra civile. In questo caso, si legge, la UE si troverebbe a dover intervenire al largo della costa libica.

Il documento parla anche di un fragile equilibrio raggiunto con il discusso partner, che non saprebbe far fronte "a un improvviso aumento dei flussi migratori".

Parlando di monitoraggio dei soldi spesi, neanche l'Italia sembra monitorare alcunché. "Non ho informazioni su alcuna seria attività di monitoraggio neanche da parte del parlamento italiano", indica De Bellis.

Uno dei documenti chiave della strategia europea di esternalizzazione dei controlli alle frontiere è proprio quel memorandum firmato nel 2017 tra l'Italia, rappresentata da Minniti e la Libia. Sia il ministero dell'Interno italiano che la Commissione europea non hanno risposto finora alle domande di euronews sui meccanismi per valutare il rispetto dei diritti umani da parte della guardia costiera libica.

Crimini contro l'umanità: "l'Europa e l'Italia i pianificatori, i libici gli esecutori"

"Il diritto penale internazionale tratta i più gravi crimini commessi da apparati di potere, dove l'impresa criminale include tipicamente un livello politico che progetta, pianifica e orchestra delle soluzioni, salvo poi contrattare con una struttura politica separata, come milizie parastatali, per eseguirle sul campo", l'opinione di Omer Shatz, docente di diritto internazionale a SciencesPo di Parigi e autore di una denuncia contro Italia e UE, al Tribunale penale dell'Aja, per la morte di migliaia di migranti nel Mediterraneo.

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"Nel nostro caso è stata la UE ad aver pianificato le politiche, fornito il supporto materiale, strategico e legale. Senza la UE, questi crimini non sarebbe mai stati commessi. Gli esecutori sono le milizie libiche di trafficanti di esseri umani. La Corte penale internazionale è stata istituita per responsabilizzare gli attori internazionali di fronte alla legge: il procuratore non potrà perseguire solo i Bija, assolvendo coloro che hanno fornito ai vari Bija le vittime".

Nonostante i documentati abusi da parte della guardia costiera libica, Eunavfor Med sembra soddisfatta del livello di impegno del personale addestrato. "Ha continuato l'attività operativa in mare, svolgendo uscite di routine e operazioni search and rescue,perfino durante il Ramadan, dimostrando una chiara determinazione nel raggiungere il pieno controllo della propria area di responsabilità".

_*Correzione: in un primo tempo abbiamo scritto che sono 236 le navi sospettate di trafficare carburante; in realtà 236 sono quelle sospettate di attività illecite in generale, ma sono 60 quelle che potrebbero essere direttamente coinvolte nel contrabbando di petrolio stando al documento classificato. _

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