L'atleta belga, oro ai Giochi Paralimpici di Londra, nel 2008 aveva firmato i documenti per la "dolce morte"
Da quando aveva 14 anni soffriva di un’incurabile malattia degenerativa, che l'aveva portata alla paralisi e ad attacchi epilettici.
A Diest, in Belgio, l'atleta paralimpica Marieke Vervoort è morta di eutanasia a soli 40 anni, a conclusione di una strenua lotta con una condizione spinale irreversibile.
"Mi dispiace davvero, era troppo giovane - afferma una concittadina - capisco perché ha scelto di farlo: dovremmo rispettare la sua scelta, non sta più soffrendo ora".
Plurimedagliata e convinta
In carrozzina, aveva guadagnato un meritato oro nei 100 m, oltre ad un argento nei 200 m, alle Paralimpiadi di Londra 2012.
A Rio, nel 2016, invece, aveva raggranellato altre due medaglie, l’argento nei 400 m ed il bronzo nei 100 m: proprio durante i Giochi brasiliani, aveva annunciato il ritiro e la volontà, una volta ritenuto insopportabile il dolore, di voler concludere i suoi giorni terreni attraverso l'eutanasia, che in Belgio è legale.
I documenti erano pronti e sottoscritti sin dal 2008: "Non significa omicidio - diceva - eutanasia vuol dire concedere un senso di riposo alle persone, è molto difficile vivere con così tanto dolore e sofferenza".
La poetessa Kristien Nys, sua concittadina, le ha voluto dedicare delle righe: "Persona con una volontà di ferro e una pazienza angelica, il suo sorriso è sparito, ma anche il suo dolore.
Hai fatto il tuo ultimo giro, hai aspettato abbastanza, la tua grande battaglia è stata combattuta".