Colombia: la strage silenziosa

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Di Alberto De Filippis
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Centinaia di leader sociali assassinati da quando Ivan Duque è presidente

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In Colombia non si può più non definirla una strage. Centinaia di leader sociali, candidati politici indipendenti ed ex membri delle Farc, non tanto dissidenti che hanno ripreso le armi, ma membri smobilitati, sono stati uccisi in questi ultimi mesi. L'avvicinarsi di elezioni amministrative importanti, non ultima quella di ottobre per la carica di sindaco di Bogotà, rendono la situazione sempre più difficile.

Una delle candidate assassinate

I leader sociali sono figure rispettate dalle comunità anche se non sono membri di un qualche partito. Pagano spesso questa loro indipendenza rispetto agli apparati mafioso-militari o partitici. La presidenza di Ivan Duque, eletto un anno fa in un ballottaggio contro il candidato della sinistra unita, Gustavo Petro, aveva promesso di migliorare la situazione, ma anche di rivedere gli accordi di pace firmati a Cuba con le Farc dal suo predecessore Juan Manuel Santos. I risultati sono stati abbastanza deludenti e sul capo di Duque è anche piombata la crisi con il vicino Venezuela. La sua popolarità è crollata ed è risalita un po' solo dopo le operazini contro i dissidenti delle Farc, ma è un fatto che la sicurezza, nella provincia colombiana, è ormai molto bassa.

Questa strage è causata dal fatto che la popolazione civile si trova letterarlmente fra due fuochi. Da una parte i gruppi guerriglieri, dall'altra i paramilitari che si sono anche alleati con i messicani del clan del Golfo. Fra i motivi scatenanti il controllo del territorio attraverso taglieggiamento e sequestri, il narcotraffico e lo smercio della cocaina verso i paesi ricchi. Chi si mette di traverso viene ucciso. Altre accuse sono state anche rivolte alle forze armate che utilizzerebbero forza eccesiva nelle operazioni, provocando anche morti fra la popolazione civile.

Dissidenti Farc riprendono le armi
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