G7 e G8, breve storia di violenza, transenne e zone rosse

G7 e G8, breve storia di violenza, transenne e zone rosse
Diritti d'autore Una donna passa davanti a un gigantesco murale nel 2007, a Milano, alla vigilia di una manifestazione "No global" a Genova. La sinistra radicale dimostrerà a favore di 25 persone accusate di rivolte durante il G8 del 2001 - AFP/Damien Meyer
Di Andrea Rondolotti
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Le zone rosse contrastano con la tanto sbandierata vicinanza virtuale tra capi di Stato ed elettori: il dialogo non è quasi mai biunivoco e, nelle rare occasioni in cui i leader scendono sulla terra, ci sono le transenne a tenerli lontani dal resto della popolazione.

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Il 24 agosto si apre il G7 e, come a Genova 18 anni fa, i capi di Stato si riuniranno a Biarritz in una zona rossa costiera inaccessibile al resto del mondo.

Le zone 1 e 2 di Biarritz - ville.biarritz.fr

Negli ultimi anni, la diffusione e l’utilizzo delle piattaforme tecnologiche hanno contribuito a simulare un dialogo sempre più intenso tra le personalità pubbliche e la massa: dichiarazioni in prima persona, impressioni a caldo, in tempo reale e perfino foto dei leader al mare o in pausa pranzo. Per attenerci strettamente ai summit internazionali, l'anno scorso Angela Merkel ha reso il mondo partecipe della difficoltà delle trattative al G7 2018 pubblicando un ormai celebre scatto che ritrae Donald Trump a braccia conserte, insofferente al confronto con gli altri capi di stato.

Come si intuisce dal contrasto tra il persistere di zone rosse, e la tanto sbandierata vicinanza virtuale tra capi di Stato e elettori, il dialogo non è quasi mai biunivoco e, nelle rare occasioni in cui i leader scendono sulla terra, ci sono le transenne a tenerli lontani dal resto della popolazione.

I dirigenti politici hanno bisogno di sentire la pressione, hanno bisogno di sapere che le persone si stanno spazientendo e che vogliono essere ascoltate
Brent Patterson
Political Director at The Council of Canadians (Ngo)

Prendiamo il G7 dell’anno scorso, a Manoir Richelieu, un grande albergo nel paesino di Pointe-au-Pic, 150 km dalla città di Québec, Canada. La località di lusso era servita da due strade, una per l’ingresso e una per l’uscita, mentre il perimetro era recintato a garanzia di sicurezza degli ospiti; a est, il palazzo si affacciava direttamente sul fiume San Lorenzo: una protezione “naturale” ulteriormente irrobustita in occasione del summit.

La zona rossa venne protetta da un’inferriata alta tre metri, lungo la quale furono montate numerose telecamere, una ogni cinque metri; la polizia, le forze armate e due fregate della marina canadese garantirono l’inviolabilità di questo confine, lo spazio aereo venne dichiarato No-Flight Zone, attraversato solo da palloni di sorveglianza muniti di telecamere.

La "terza zona" per la libera espressione... a 1.5km di distanza

C'erano poi altre due zone: una verde, cuscinetto, e una “bianca”: quest'ultima costituiva lo spazio destinato alla libera espressione e alla raccolta dei manifestanti, a 1.5km da Manoir dentro la Zona Verde.

Le politiche economiche mondiali e l’opposizione possono dialogare dunque solamente a 1500 metri di distanza. Brent Patterson, direttore politico del Council of Canadians (organizzazione di azione sociale fondata nel 1985), sottolineò la difficoltà di ammettere il rispetto della libertà di espressione a queste condizioni. “Noi crediamo che tutto il Paese dovrebbe essere una zona di libera espressione”, disse in un’intervista rilasciata per Radio Canada. “I dirigenti politici hanno bisogno di sentire la pressione, hanno bisogno di sapere che le persone si stanno spazientendo e che vogliono essere ascoltate”.

Una situazione contraddittoria che non ha mancato di sollevare polemiche. I dignitari che presenziano al summit sembrano indifferenti all’opposizione che si sviluppa nelle strade, senza distinzione tra i mezzi violenti o pacifici. Di quest'ultima si occupa solamente la forza pubblica.

Un percorso violento

Negli ultimi vent’anni, l’organizzazione della Pubblica Sicurezza è stata dettata dagli avvenimenti del 1999, quando le proteste contro l’Organizzazione Mondiale per il Commercio sfociarono in uno scontro ricordato come “la Battaglia di Seattle”. Durante le giornate di scontri, la Polizia ebbe serie difficoltà a controllare la situazione, e emersero le costanti tipiche di tutte le contestazioni internazionali successive: lotta contro la globalizzazione, resistenza mondiale, “manifestanti pacifici” e “Black Bloc”.

Con la tradizionale divisione che si è imposta nel dibattito pubblico, quella tra contestatori “buoni” e “cattivi”, si è aperta la caccia alle streghe contro l’estremismo. Un campo in cui i funzionari di tutta Europa vantano una grande esperienza, formata dalle tensioni politiche degli anni ‘60 e ’70. Ne hanno dato prova in queste ultime settimane con l’individuazione e l’arresto, in Francia, dell’anarchico italiano Vincenzo Vecchi – condannato per “istigazione e concorso in devastazione e saccheggio” proprio per i fatti del G8 di Genova.

Dal 1999, l’incidere delle dimostrazioni di forza della piazza su una sicurezza pubblica minata dal terrorismo (come la neonata minaccia di Al-Qaida o l’attentato di Omagh, rivendicato dall’IRA) ha condotto i responsabili delle forze di polizia a rivedere le proprie tattiche, non solo perseguendo i colpevoli, ma anche concentrando i propri sforzi nella prevenzione del crimine.

Un esempio di questa tattica investigativa è l’ampia indagine preventiva svolta nel 2001. All’alba del G8 di Genova, l’allora ministro dell’interno Scajola ricordò che “il dossier dei rapporti dei servizi che avevo sul tavolo del ministero dell’Interno era alto quanto un’enciclopedia” (dal documentario Governare con la paura, 2009).

Con la prevenzione , vengono trattenuti "presunti possibili criminali" attraverso Il fermo preventivo, il DASPO o il dispiegamento della forza in situazioni a rischio. Sono misure abitualmente impiegate dai funzionari di pubblica sicurezza per scongiurare l’eruzione della violenza, e ciò che le accomuna “è il limitatissimo controllo giudiziario: sono strumenti con alto grado di discrezionalità da parte della polizia” come osserva la professoressa Donatella Della Porta, collaboratrice dell’Istituto per la ricerca sulle Proteste e i Movimenti Sociali di Berlino.

Questo permette - per mezzo di “misure autoritarie e restrittive” - di colpire “non più quindi chi ha commesso l'atto, bensì chiunque venga considerato per alcune caratteristiche proprie - ideologiche, di provenienza, di fede, d'età etc.- potenzialmente in grado di commettere un reato” (da una conversazione pubblicata su Globalproject, 2018).

La carica delle forze dell'ordine ad Amburgo nel 2017- Christof STACHE / AFP

Il caso del G20 di Amburgo, 2017

Circondato da agenti in assetto di guerra, il corteo di Fischmarkt parte all’ora prevista, ma dopo qualche centinaio di metri la tensione raggiunge il culmine, si infiammano gli scontri. La polizia di Amburgo comunica su Twitter che “una manifestazione pacifica è ancora possibile! Allontanatevi dai criminali violenti!”, ma la situazione è già precipitata.

Nelle numerose immagini della protesta contro il G20 di Amburgo si esibisce tutta la potenza della polizia federale tedesca. Blindati di ultima generazione, armi urticanti portatili, fucili d’assalto e protezioni balistiche per personale e veicoli. Questa dimostrazione di forza, secondo i sovraintendenti della Bundespolizei, è proporzionata al rischio calcolato della manifestazione anti-G20.

La stretta della polizia non si ferma nelle strade, e ad alcuni elementi considerati “pericolosi” non viene permesso di partecipare alla manifestazione. Un gruppo di italiani registrati come attivisti politici e sottoposti a un fermo preventivo all’areoporto di Amburgo denunciano la propria situazione su Facebook: “Ci hanno sottoposto a perquisizioni e controlli e ci hanno detto che la nostra presenza ad Amburgo è problematica perché siamo attivisti politici. [...] Sembra che vogliano procedere alla nostra espulsione. Non c'è nessuna accusa formalizzata, nessun reato commesso, non c'è nessuna motivazione per il nostro fermo.”

La gabbia dorata della diplomazia

Le precauzioni prese in occasione dei grandi incontri internazionali sono di competenza dello Stato che li ospita. La politica generale è stata di allontanare l’immagine di una situazione caotica dalla vista dei dignitari internazionali per dare prova di grande sicurezza, ordine e armonia.

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Nell’ultimo incontro tra Putin e Macron, il presidente russo ha risposto alle osservazioni del collega francese in materia di sicurezza pubblica: “Non vogliamo dei gillet gialli, da noi.”

Infatti, quando nel 2006 il G8 si tenne a San Pietroburgo, numerosissimi furono gli arresti preventivi lamentati dagli attivisti nei giorni precedenti all'apertura del summit. Durante la protesta, centinaia di manifestanti vennero confinati nello stadio sportivo Kirov, sorvegliati dalla polizia antisommossa.

Il G7 di Biarritz è alle porte, e le misure prese per la sicurezza impressionano già gli osservatori. Una zona rossa ricopre l’intera fascia costiera della cittadina, che viene a sua volta racchiusa in una zona blu. Il traffico è interdetto nella zona rossa e limitato nella zona blu. Emmanuel Macron vuole evitare situazioni imbarazzanti, e tutti gli occhi del Ministère de l’Interieur sono puntati su Biarritz.

Nel 2001 a Genova, come affermò Scajola (intervistato sulle responsabilità politiche di quanto avvenuto), l’organizzazione delle misure di sicurezza e il coordinamento tra i reparti incaricati di difendere il summit fu affidata a funzionari, e in particolare a Giovanni De Gennaro, Capo della Polizia. Lo stesso avvenne in Canada l’anno scorso: il responsabile della sicurezza, nonché dell’allestimento della zona “di libera espressione” fu Marcel Bias, ufficiale della Sûreté du Québec, la polizia regionale.

Concludiamo con un ultimo fatto. Durante il primo giorno di summit, ad Amburgo, venne previsto un tour per le vie del centro città delle first ladies, con particolare attenzione per il Centro di Ricerca Climatica: una visita volta a sensibilizzare i partecipanti sui cambiamenti climatici, uno dei punti chiave del G20. Un programma costretto a saltare di fronte alla guerriglia urbana che dà loro un "benvenuto all'inferno". Gettato uno sguardo oltre le transenne, preso atto della grande tensione che si sviluppava al di fuori della zona Rossa, analizzata l'opposizione che si scatenava nel centro, i grandi del mondo hanno deciso di continuare la serata all'Hotel Atlantic.

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