Arresti e intimidazioni: cosa vuol dire essere giornalista nel Sahara Occidentale

Arresti e intimidazioni: cosa vuol dire essere giornalista nel Sahara Occidentale
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Di Yaiza Martín-Fradejas
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Reporters Sans Frontieres ha definito l'ex colonia spagnola occupata dal Marocco un "deserto informativo", denunciando i rischi della mancata copertura da parte dei media internazionali di questo conflitto dimenticato.

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Nazha El Khalidi, reporter saharawi che lavora per il portale indipendentista Equipe Media, ha denunciato pubblicamente il suo calvario giudiziario con le autorità marocchine per aver filmato una manifestazione di protesta nel Sahara occidentale.

È stata arrestata il 4 dicembre scorso mentre faceva delle riprese durante un picchetto di protesta a El Ayoun con l'accusa di non avere autorizzazione o accredito giornalistico. Se è vero che i membri di Equipe Media non soddisfano questo requisito, è vero allo stesso tempo che non riconoscono la sovranità dell'autorità marocchina occupante.

Il 18 marzo 2019 si è tenuta la prima udienza del suo processo. El Khalidi è stata accusata di "rivendicare o usurpare un titolo associato ad una professione regolamentata dalla legge senza soddisfare le condizioni necessarie per il suo utilizzo". Un reato punibile con la reclusione da tre mesi a due anni e con una multa da 12 a 500 euro.

La giornalista non è stata messa in prigione ma l'8 luglio scorso è stata condannata a pagare una multa di 400 euro, una cifra sostanziale per chi vive in quelle terre. Parlando in esclusiva a Euronews, ha detto di temere che questa situazione tornerà a ripetersi.

"Questa sentenza vuol dire che il governo marocchino mi attaccherà di nuovo ogni qual volta cercherò di documentare la violenza della polizia contro i saharawi, o semplicemente quando cercherò di fare giornalismo".

La reporter spiega di essere stata arrestata per il suo lavoro con Equipe Media, che da tempo documenta le violazioni dei diritti umani nel Sahara occidentale. Reporters Sans Frontieres ha definito l'ex colonia spagnola occupata dal Marocco un "deserto informativo", denunciando i rischi della mancata copertura da parte dei media internazionali di questo conflitto dimenticato. La responsabilità è del Marocco che proibisce alla stampa straniera l'accesso a quei territori, come ha spiegato a Euronews Alfonso Armada, presidente della sezione spagnola di RSF.

Un processo opaco, senza osservatori internazionali

Una delle particolarità del processo contro El Khalidi è stata la assoluta mancanza di trasparenza. Tre avvocati spagnoli (Inés Miranda Navarro, Miguel Ángel Jerez Juan e José María Costa Serra), appartenenti al Consiglio generale dell'Avvocatura di Stato hanno cercato di entrare nel Sahara occidentale occupato il 23 giugno scorso per assistere alle udienze. Tuttavia, le autorità marocchine hanno impedito loro l'ingresso. Non è stato loro permesso neanche di scendere Infatti, non era nemmeno permesso loro di scendere dall'aereo che veniva da Gran Canaria.

Inés Miranda, che si batte per la causa saharawi, ha affermato che è la prima volta che il Marocco le nega l'accesso in tribunale. Anche altri due giuristi, rappresentanti dell'ordine degli avvocati americani, sono stati espulsi all'aeroporto di Casablanca senza alcuna spiegazione. L'obiettivo dei cinque osservatori internazionali era quello di garantire che il processo si svolgesse con tutte le garanzie del caso.

L'Osservatorio per la protezione dei difensori dei diritti umani (OPDDD), da parte sua, ha classificato il trattamento della giornalista come "molestie giudiziarie", condannando fermamente l'intero procedimento. Secondo l'organismo, il suo scopo sarebbe quello di reprimere qualsiasi attività a favore dei diritti umani. L'OPDDD ha inoltre esortato le autorità marocchine a garantire il diritto di svolgere attività pacifiche e legittime e ha chiesto la fine di ogni forma di pressione nei confronti dei difensori dei diritti umani nel Sahara occidentale.

Giornalismo sotto repressione nel Sahara occupato

Nazha El Khalidi è stata fermata mentre filmava e trasmetteva in diretta Facebook una manifestazione a El Ayoun in cui si protestava contro l'occupazione del Marocco e si chiedeva l'indipendenza del Sahara occidentale. Dopo essere stata arrestata, è stata portata in una stazione di polizia dove è stata trattenuta per quattro ore. Durante questo lasso di tempo, gli agenti l'hanno interrogata e le hanno confiscato il cellulare senza autorizzazione.

Durante il processo, El Khalidi ha detto al giudice di essere stata vittima di "vendetta" per la sua attività di giornalista al servizio di un'organizzazione mediatica "affidabile e indipendente".

"Voglio denunciare il blocco mediatico che il Marocco sta imponendo sul territorio del Sahara occidentale. Chiediamo che a livello internazionale vengano esercitate pressioni sul governo marocchino e venga aperto il territorio agli osservatori internazionali e alle agenzie di stampa affinché la violazione dei diritti umani del popolo Saharawi possa essere documentata", le sue parole a Euronews.

Questo caso mostra i limiti del lavoro giornalistico nel Sahara occidentale. El Khalidi è una giornalista di etnia berbera che si trova a fare il proprio mestiere in condizioni difficile, segnate da violenze e repressioni e non certo aliene da ritorsioni e arresti. Il Marocco è al 135esimo posto nella classifica della libertà di stampa nel mondo.

"Il Marocco utilizza questioni come la pesca, l'immigrazione o la situazione a Ceuta e Melilla per negoziare costantemente con il governo spagnolo, in una situazione di potere o di superiorità. Ciò significa che sia il governo francese che quello spagnolo sono molto attenti all'atteggiamento del regno di Alaoui quando si tratta di prendere decisioni. E questo significa che la questione del Sahara viene accantonata e ridotta al minimo", ha spiegato a Euronews il presidente di RSF Spagna.

Il Sahara occidentale è stata colonia spagnola fino al 1976 ed è l'ultimo territorio non decolonizzato dell'Africa. Oggi è diviso in tre zone: quella occupata dal Marocco, quella controllata dal Fronte Polisario e quella dei campi profughi di Tindouf, in territorio algerino.

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