Italia, dal 2017 al 2018 quadruplicate le segnalazioni di crimini d'odio

Manifestazione di fornte alla Sea Watch 3 lo scorso 26 gennaio 2019
Manifestazione di fornte alla Sea Watch 3 lo scorso 26 gennaio 2019 Diritti d'autore REUTERS/Guglielmo Mangiapane
Diritti d'autore REUTERS/Guglielmo Mangiapane
Di Lillo Montalto Monella
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Lo certifica l'unico ente pubblico che monitora in qualche modo le aggressioni razziste e discriminatorie in Italia. Ma il problema vero è che questo monitoraggio non ha valore per una riflessione seria sul fenomeno: manca una banca dati nazionale e un'agenzia indipendente contro la discriminazione

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In Italia le segnalazioni sugli atti discriminatori sono quadruplicate dal 2017 al 2018, passando da 92 alle 360 dell'anno passato. Lo si deduce analizzando i numeri forniti a Euronews da OSCAD, l'unico osservatorio ufficiale, inquadrato nella struttura del Ministero dell'Interno, che tiene traccia dei crimini d'odio (hate crimes).

Cosa fare con questi dati? Purtroppo nulla. In assenza di un ente di monitoraggio autonomo sui reati a sfondo discriminatorio, e per come sono stati raccolti da OSCAD, da questi numeri non si può trarre alcuna conclusione. Figuriamoci diventare base per un discorso scientifico e razionale sul fenomeno.

Per dirla con il prof. Marzio Barbagli, emerito di sociologia, "si possono buttare nel cestino".

"Il dibattito dipende dalle posizioni politiche: quelli di sinistra diranno che c'è stato un aumento per colpa di Salvini, quelli di destra che non è vero. I dati non vengono presi sul serio se non da chi li analizza, e questi dati non possono essere analizzati", commenta Barbagli. Ma andiamo con ordine e vediamo di capire cosa dicono i numeri sulle aggressioni razziste e discriminatorie in Italia e perché sono da prendere con le molle.

Crimini d'odio aumentati da quando si è insediato il governo Lega-Cinque Stelle? Forse.

Come avevamo scritto l'anno scorso in questo approfondimento, per carenze strutturali (assenza di banca dati nazionale e autorità indipendente di monitoraggio) rispondere a questa domanda è virtualmente impossibile.

Ci provano in maniera artigianale giornalisti che hanno creato delle mappe sulle aggressioni razziste dal 1 giugno 2018 ad oggi e ong come Lunaria, che ogni anno pubblica un rapporto sugli episodi violenti a sfondo razzista o discriminatorio. Non sono dati ufficiali con valenza statistica ma solamente gli episodi documentati da Cronache di Ordinario Razzismo. Per la cronaca, anche qui si registra un aumento, da 564 episodi nel 2017 a 628 nel 2018. Ci sono poi altre realtà che effettuano monitoraggi indipendenti come Amnesty, Doxa, Telefono Azzurro, ma nulla di ufficiale.

Gli unici enti pubblici che provano a tratteggiare formalmente i contorni del fenomeno sono l'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD) e l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR), competente in materia di discriminazioni e parità di trattamento, che risponde alle Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Dipartimento per le Pari opportunità.

OSCAD è sotto il ministero dell'Interno, raccoglie le notizie di reato per gli ambiti coperti dalla cosiddetta Legge Mancino da varie fonti (tra cui: forze dell'ordine, privati ma anche siti internet e giornali) e dispone di una rete capillare di commissariati di polizia da cui attingere.

Una goccia nel mare, se consideriamo anche il fenomeno dell_'under-reporting_. Il 35% delle segnalazioni sugli hate crimes raccolte dai funzionari OSCAD, e suffragate dalla polizia, arrivano da articoli di stampa. Non hanno dunque alcuna valenza statistica né indicano casi già passati in giudicato e che quindi presentano inequivocabilmente l'aggravante razziale. Poche quelle che arrivano da privati cittadini anche perché in pochi sanno dell'esistenza di OSCAD o UNAR.

"La verità sui numeri dei crimini d'odio in Italia la sa solo il Padre Eterno", commenta il sociologo Barbagli. "Per dire qualcosa di sensato ci vogliono serie storiche, l'unico ente che potrebbe farlo è l'Istat (l'ultima indagine sulle discriminazioni risale al 2015, n.d.R.), ma se non lo fa in maniera sistematica è perché nessuno glielo chiede. L'Istituto agisce sulla base di richieste fatte dal Governo o da singoli ministeri".

Se non riuscite a visualizzare i grafici, cliccate qui.

UNAR e OSCAD: osservatori ministeriali con le armi spuntate, vittime di un' "arretratezza informatica spaventosa"

Nel 2016, la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI), istituita dal Consiglio d’Europa, aveva raccomandato all'Italia di dotarsi al più presto di una banca dati nazionale sui crimini d'odio. Anche per dar conto alle varie richieste di informazioni e dati presentate dagli organismi internazionali come OSCE e COE. Ci avrebbe dovuto pensare il Ministero della Giustizia, assieme a UNAR, ma da allora è tutto fermo. "Questo Ufficio non è a conoscenza di avanzamenti circa l’elaborazione della banca dati congiunta in questione", la risposta di UNAR a Euronews. Non solo: da fine marzo, l'ufficio nazionale anti-discriminazioni è senza direttore. Scaduto il mandato del senatore Luigi Manconi, che lo ha presieduto per un anno, non è ancora stato nominato il suo successore

"Ho guidato UNAR per 12 mesi, quindi il mio giudizio è parziale, ma è certo e inequivocabile che UNAR abbia un limite costitutivo, una sorta di difetto genetico: non è un organismo indipendente", commenta a Euronews lo stesso sen. Manconi. "Si tratta di un limite gravissimo. Un'autorità nazionale indipendente per la tutela dei diritti esiste in gran parte dei Paesi democratici, ma in Italia nonostante qualche passo avanti siamo ancora lontanissimi".

C'è un altro limite di funzionamento che UNAR ha in comune con OSCAD: il fatto di operare su segnalazione ad un call center. "Di per sé la segnalazione è un atto che richiede consapevolezza, tempo e perfino una certa determinazione civile. Le segnalazioni che arrivano documentano solamente una piccola parte del fenomeno. Raramente questi fatti si portano a conoscenza delle stesse autorità", figuriamoci se vengono poi segnalati a UNAR.

Secondo Manconi, docente di sociologia dei fenomeni politici ed ex presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato, l'assenza di un database nazionale è imputabile ai "consueti vizi delle istituzioni italiane, incapaci di agire in maniera unitaria e afflitte da meccanismi burocratici che tendono a moltiplicare i luoghi della documentazione invece che raccoglierli e coordinarli".

"Oltre alla mancata integrazione UNAR-OSCAD, colpisce l’assenza di un database con una capacità di analisi sofisticata del fenomeno che sappia dirci, per l'intero territorio nazionale, quante di queste segnalazioni siano sfociate in denunce e quante in condanne", conclude Manconi. "Scontiamo un'arretratezza informatica spaventosa. Nei primi mesi del 2019 ho notato un incremento degli atti discriminatori, ma non particolarmente accentuato. La nostra debolezza strutturale si deve al fatto che valutiamo il fenomeno sulla base delle segnalazione o sulla base dell’analisi dei mass media, che a loro volta sono una fonte scarsamente attendibile: documentano solamente l'inizio della vicenda, quasi mai la sua conclusione, e quindi non siamo in grado di quantificare gli hate crimes con precisione".

"Servono investimenti, non uffici piccoli, simbolici e dipendenti dal potere politico"

L'Asgi, Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione, lamenta la stessa impossibilità di parlare del fenomeno dal punto di vista quantitativo e chiede la creazione di servizi anti-discriminazione in tutte le regioni. "Dal 2015-16 abbiamo assistito ad un aumento netto non solo di fenomeni di hate speech, ma anche di provvedimenti discriminatori da parte della pubblica amministrazione", commenta il vicepresidente di Asgi, Gianfranco Schiavone. "Gli uni sono legati agli altri, è difficile sapere quale sia la causa e quale l'effetto. Più vengono prese misure discriminatorie verso gli stranieri, più una parte della popolazione si sente autorizzata a discriminare anche in privato".

Schiavone, che da tempo guida l'Ufficio Rifugiati ICS di Trieste, concorda con Manconi. "Il problema italiano è antico, nasce dalla mancata istituzione di un'agenzia italiana contro la discriminazione che abbia le caratteristiche di un’autorità indipendente e dotata di mezzi. Non come l'UNAR, incardinato dentro la pubblica amministrazione e creato quasi in funzione simbolica, con enorme sottovalutazione di questi temi".

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"Servono difensori civici in ogni regione, un ufficio nazionale non può funzionare. C'è bisogno di prossimità e contatto diretto tra chi raccoglie la segnalazione e chi la vaglia. Le persone che si ritengono vittime hanno bisogno di avere uffici raggiungibili, contatti veloci e gratuiti. Anche solo per capire se la segnalazione sia fondata o sia frutto di una sovra-percezione errata. La discriminazione è la grandissima questione sociale e politica del nostro tempo, richiede impegno e investimento, non uffici piccoli, simbolici e non indipendenti dal potere politico".

Dal 2010 al 2018 Trieste, Livorno e Pescara le province con più casi in rapporto agli abitanti

Prendendo cum grano salis i dati storici forniti da OSCAD, istituito nel 2010, abbiamo verificato quali siano state le province con più segnalazioni di eventi penalmente rilevanti: discriminazioni per razza/etnia, credo religioso, orientamento sessuale/identità di genere e disabilità. Segnalazioni che, allo stato delle cose, possono essere sfociate in arresti, denunce oppure in un nulla di fatto.

  1. Trieste: 4.2 casi ogni 100mila abitanti;
  2. Livorno: 4.16 casi ogni 100mila abitanti;
  3. Pescara: 4.07 casi ogni 100mila abitanti;
  4. Venezia, 3,98 casi ogni 100mila abitanti;
  5. Roma, 3.83 casi ogni 100mila abitanti.

Nel solo 2018, infine, le province con più problemi di hate crimes sono state Oristano, Macerata, Ascoli Piceno, Viterbo e Venezia con rispettivamente 2.51, 2.21, 1.92, 1.89 e 1.87 segnalazioni ogni 100mila abitanti.

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