Speciale Intelligence - prima parte: dal caso Skripal alla guerra ibrida

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Di Diego Malcangi
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Speciale intelligence - prima puntata: da Litvinenko a Skripal e sempre la Russia sotto accusa, così come per gli ultimi attacchi informatici. Un ex Attorney statunitense, un analista della sicurezza, un sottosegretario: testimoni straordinari di una guerra ibrida in corso

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Quasi dodici anni dopo l'assassinio di Aleksandr Litvinenko, nei mesi scorsi un destino simile, se non altro per il sospetto mandante, è toccato a Sergei Skripal, ex colonnello del GRU. Condannato nel 2006 in Russia per alto tradimento, con l'accusa di aver collaborato con i servizi britannici, Skripal ottenne l'indulto nel 2010 e fu scambiato, insieme ad altri tre, con una decina di agenti russi detenuti da Londra e Washington.

Avvelenato con il Novichok il 4 marzo scorso insieme alla figlia, è sopravvissuto all'attentato. Gli inquirenti britannici hanno da subito accusato la Russia, e l'inchiesta ha poi portato all'identificazione dei due sospetti. Semplici turisti, secondo Mosca. I due si sono fatti intervistare dalla televisione russa e hanno detto di essere stati a Salisbury per visitarne la splendida cattedrale.

Ufficiali del GRU secondo Londra, che ritiene di averli identificati con certezza.

Strano, l'invio di ufficiali di grado così elevato per un'operazione del genere. Così come può apparire strano che un ex agente che ha ottenuto l'indulto dal presidente russo venga poi avvelenato, otto anni dopo, con quella che è a tutti gli effetti un'arma da guerra.

Mistero per mistero, torniamo al caso Litvinenko del novembre 2006, lo stesso anno in cui il tribunale condannò Skripal. Litvinenko era un agente dell'antiterrorismo del KGB, fuggito in occidente dopo essere entrato in urto con le autorità russe. Divenne, tra l'altro, una fonte preziosa anche per valutare le possibili infiltrazioni dei servizi russi in Occidente. In questo quadro entrò in contatto con Mario Scaramella, l'analista italiano che lo incontrò poco prima della morte.

Lo abbiamo ritrovato a Roma.

"Due mesi prima della fine... dell'avvelenamento di Litvinenko, quindi tre mesi prima della fine, lui rilasciò un'intervista qui a Roma, nel centro, vicino al Campidoglio, a due passi da qui, un'intervista purtroppo un po' testamento. Alla fine gli eventi purtroppo hanno dato ragione al contenuto a tratti un po' incredibile di quell'intervista, perché..."

- Che disse?

"Accusava in maniera netta, molto diretta, il Cremlino di una serie di... di atteggiamenti internazionali all'epoca poco credibili onestamente, fummo tutti scettici, però poi gli eventi dell'ultimo decennio, dell'ultima dozzina d'anni, a partire dall'evento dell'avvelenamento di quella fonte, gli hanno dato ragione, purtroppo".

(...)

"Devo ammettere che la teoria di quello che abbiamo studiato per tanti anni, di come era organizzato il GRU, questa fantomatica struttura di cui poi ai miei tempi ancora il governo centrale russo negava l'esistenza, in toto, e quello che abbiamo studiato è un po' disatteso dalle moderne operazioni. L'idea che un colonnello, e quindi un ufficiale superiore, sia impiegato in un'operazione in un certo senso addirittura banale, quella di portare un'arma, mettere un veleno sulla porta d'ingresso di un dissidente che va eliminato nella loro ottica, è un qualcosa un po' sopra le righe".

Ritroveremo Scaramella più in là. Occupiamoci del GRU, intanto: l'élite dei servizi russi, la cui esistenza come abbiamo sentito veniva finora negata.

Però questo è l'indirizzo di un tale Alexander Mishkin, o lo era fino al 2014. Khoroshevskoe Shosse 76B, il quartier generale del GRU. Mishkin, alias Alexander Petrov, è, secondo gli inquirenti britannici, uno dei due autori dell'avvelenamento di Skripal. L'altro è Ruslan Boshirov, il cui vero nome sarebbe Anatoly Chepiga.

Una conferma dell'esistenza del GRU ce la dava questo distinto signore, Vladimir Koshelev, che veniva presentato alla nostra corrispondente a Mosca come colonnello di riserva. Proprio del GRU, e confermava di aver conosciuto Skripal. Erano passati nove giorni dall'avvelenamento, e Koshelev esprimeva i suoi dubbi:

"Prima di tutto, il nostro presidente l'anno scorso ha annunciato la completa distruzione degli arsenali chimici, e non c'è ragione per non credergli. E poi devo ricordare che questo agente nervino, il Novichok, è stato messo in servizio dall'esercito sovietico nel 1990, e quindi, per quello che è successo a Salisbury, c'è un certo margine".

- Che margine?

"Per qualche ragione, nessuno tiene in considerazione la possibilità che altri servizi speciali abbiano avuto un ruolo in questa storia, e mi lasci sottolineare che il signor Skripal, con il quale - purtroppo o no - ero personalmente in contatto, non poteva rappresentare alcun pericolo per lo Stato russo. In termini legali, era stato amnistiato e anche nei confronti dello Stato russo era in qualche modo ripulito, se non altro per il fatto di esser stato inserito nello scambio con cittadini russi accusati di spionaggio negli Stati Uniti".

Una linea di difesa che riprendeva le argomentazioni usate dal governo russo negli stessi giorni, e che è stata considerata poco credibile in Occidente.

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Ma perché quindi Mosca avrebbe tentato di eliminare un ex ufficiale dei servizi ormai ritenuto inoffensivo, e perché lo avrebbe fatto con un metodo così particolare, con un'arma chimica? E' immaginabile uno scontro interno alla Russia, uno scontro tra poteri, con il GRU che mira a lasciare allo scoperto Putin? Lo abbiamo chiesto a Mike Penders, ex magistrato statunitense, esperto in materia di traffici di armi chimiche e materiali nucleari, oltre che di crimine organizzato e cyber-sicurezza, materia per la quale è ora consulente nel settore privato.

"E' possibile, ma lo ritengo improbabile. Penso che atti di questa natura, considerando la posizione e l'identità delle persone coinvolte, devono venire dal livello più alto del Cremlino".

Perché, allora?

"Beh, stanno mandando un messaggio. Rivolto sia all'interno, a quei russi che potrebbero essere tentati dall'idea di rifugiarsi in occidente e fornire informazioni contro il governo, informatori, che abbiamo visto aumentare, sull'aggressività della Russia, e un messaggio ad altri Stati, in termini di atti oltraggiosi come l'assassinio, l'avvelenamento, ed è chiarissimo che questo riporta direttamente alla Russia, al massimo livello, e sono davvero ridicole le argomentazioni difensive che sono state proposte dagli individui che sono stati chiaramente collegati con le scene del crimine".

Conferma Scaramella:

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"Tutto ha sempre un senso. Diciamo che questi interventi sono anomali da un punto di vista operativo, e invece rientrano in quella che è l'attuale visione retorica dell'intelligence russa, dove gli interventi potrebbero essere realizzati magari in maniera molto più banale ma vanno realizzati nel rispetto di un protocollo che soddisfa la retorica dell'orso russo, di cui anche il presidente in questo momento si vanta, più che negarla".

Delle smentite si occupa invece il Ministro degli Esteri, Sergey Lavrov, in una recente intervista concessa alla nostra corrispondente. Nega ogni responsabilità nel caso Skripal, così come per ogni altra accusa che viene rivolta alla Russia, dai cyber-attacchi all'ingerenza nelle elezioni statunitensi, nella Brexit o nel dossier catalano.

"Abbiamo inviato decine di richieste ufficiali al governo britannico, seguendo le convenzioni esistenti nelle relazioni bilaterali, e con il Consiglio d'Europa. Abbiamo chiesto di avviare l'assistenza legale in materia penale, e dopo numerosi solleciti abbiamo ricevuto una risposta ufficiale: il Regno Unito non può farlo per ragioni di sicurezza nazionale. E' chiaro a tutti che si tratta di una scusa, irrispettosa anche per l'ordinamento giuridico britannico. Aspettiamo ancora fatti reali, e lo stesso vale per le interferenze nelle elezioni statunitensi".

"E' molto divertente il modo in cui dopo Salisbury i rappresentanti britannici hanno fatto il giro dell'Europa, invitando altri Paesi dell'Unione europea ad unirsi alle sanzioni. Sono riusciti a convincerne molti, anche se non tutti, ad espellere i nostri diplomatici. Ora stanno elaborando alcune nuove sanzioni, già sistemiche, che saranno obbligatorie per tutta l'Unione europea, contro qualsiasi violazione del divieto dell'uso di armi chimiche. Così il Regno Unito, che sta lasciando l'Unione europea, cerca freneticamente di imporre agli Stati membri la sua agenda politica nei confronti della Russia".

E sull'imposizione di sanzioni alla Russia, l'Italia è particolarmente prudente. Nei giorni scorsi Matteo Salvini, poco dopo aver incontrato alcuni rappresentanti del governo statunitense al vertice G6 di Lione, è volato a Mosca per incontrare gli imprenditori italiani, ai quali ha promesso un'azione decisa anche contro le sanzioni già esistenti. Poi è stato messo in calendario anche un incontro del Presidente del Consiglio Conte con Vladimir Putin, anche per invitarlo alla conferenza di novembre per la Libia. La Russia è un partner irrinunciabile per l'Italia, e d'altra parte anche il sottosegretario alla Difesa, Tofalo, che abbiamo intervistato di recente a Roma, ha chiaramente lasciato intendere di puntare a una certa autonomia rispetto agli alleati, nella nuova fase di tensione che riguarderà anche lo spinoso dossier sulla cyber-sicurezza. Gli Stati Uniti hanno proposto agli alleati la loro macchina da guerra cibernetica. L'Italia ringrazia, ma vuole camminare con le proprie gambe.

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"Oggi il dibattito in ambito NATO è quello di definire il quadro normativo da un punto di vista della minaccia cibernetica. Ad oggi l'attacco cibernetico non è ancora inquadrato da un punto di vista normativo come un attacco cinetico, quindi non può esserci una risposta cinetica. Anche se nelle ultime settimane, negli ultimi mesi, abbiamo visto che la direzione della NATO è quella di perseguire un quadro normativo tale per cui poi l'attacco cibernetico venga identificato come attacco, anche cinetico, e quindi la famosa invocazione dell'articolo 5".

(...)

"Sicuramente non possiamo non ringraziare uno degli alleati che costantemente ci mettono a disposizione le loro risorse, quindi a fin del bene. Io personalmente ritengo - anche come governo italiano - che sia invece opportuno soprattutto sviluppare le nostre tecnologie. Per non fare gli errori del passato: mi riferisco ad esempio agli F35, che sono sicuramente un prodotto all'avanguardia, di quinta generazione, ma dove l'Italia non è riuscita a entrare in quello che è la progettazione software, quindi magari ci troveremo un domani indietro nella creazione e nello sviluppo di programmi di aerei di sesta generazione. Questo sulla cyber non va assolutamente fatto, e io sono uno dei promotori di una nascita, di un rafforzamento di quella che è un'industria europea della difesa. Per cui ben venga l'aiuto... ecco, noi non siamo né filo-americani né filo-russi, l'abbiamo sempre detto, dobbiamo ragionare come popolo sovrano, come Paese sovrano. Su questa partita, quella della cyber, nel nostro programma di forza politica, di forza di governo, c'è molto, c'è moltissimo. Qualche anno fa il precedente governo ha investito qualcosa come 150 milioni di euro che ancora dovevano essere spesi, noi puntiamo a investire, già quest'anno, ma certamente l'anno prossimo, oltre un miliardo per la sicurezza cibernetica, distribuita in tutti i ministeri essenziali che trattano questo tema. Per quanto riguarda la parte militare, in Italia abbiamo il CIOC, il Comando Interforze Operazioni Cibernetiche, e si stanno sviluppando le COC, le Cellule Operative Cibernetiche, che sono fuori sede, e poi con il CIOC in casa madre dovranno coordinarsi per garantire la difesa cibernetica delle strutture militari. Io ho già detto pubblicamente che dobbiamo stare all'avanguardia, e così come gli statunitensi e Trump di recente hanno aperto alle Star Wars, e quindi alle forze armate dello spazio, io ho lanciato l'idea, e sto lavorando da diverse settimane ed è la cosa alla quale più mi sto dedicando, per un rafforzamento della struttura cibernetica all'interno della Difesa e la creazione delle Forze Armate cibernetiche, perché su questo l'Italia non può assolutamente restare indietro.

E su questo creare un'industria europea della Difesa, che possa mettere insieme le risorse, sviluppare tecnologie avanzate ed essere competitivi sui mercati sia con gli Stati Uniti che con i russi. Altrimenti rischiamo di restare un po' indietro, ed è quello che sta vivendo un'Europa un po' troppo frammentata che resta divisa all'interno, tra la Francia, la Germania, c'è anche la Brexit della Gran Bretagna, la Spagna, ognuno cerca di mettersi davanti rispetto a quello che è un progetto europeo, e credo che lì dove ha fallito una moneta unica, l'euro, possa invece far fare grandi passi in avanti un'industria della difesa europea".

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