Secondo le ong operative nel Paese, sono circa 1.200 le vittime. Difficili i soccorsi nelle aree rese inagibili dal sisma.
La carneficina poteva essere scongiurata. Sono le voci che si rincorrono, quelle che alimentano gli interrogativi dopo ogni calamità naturale, ma che nell'Indonesia squassata dal terremoto di magnitudo 7.5 e travolta dal successivo tsunami trovano conferma in un dato: il sistema di allerta non ha funzionato.
Le autorità avevano, infatti, emesso l'allarme tsunami dopo la prima scossa per disinnescarlo però mezzora più tardi, nonostante le onde anomale - che hanno superato i 6 metri di altezza - stessero già spazzando via ogni cosa.
Il bilancio ufficiale del governo è di circa 850 morti e 60.000 sfollati ma - secondo le principali organizzazioni non governative, operative nelle isole dell'arcipelago di Sulawesi - sarebbero oltre 1200 le vittime, per la maggior parte sepolte in fosse comuni o bruciate per evitare epidemie.
Palu e Dongala le località più straziate. Quattro giorni dopo il sisma la gente si arrangia, in attesa che i soccorsi arrivino nelle aree rese irraggiungibili dal disastro.
Save the Children stima siano almeno un milione e mezzo, di cui almeno 600.000 bambini, le persone rimaste senza cibo, acqua e casa.
Giacarta ha lanciato un appello alla comunità internazionale per far fronte alla sciagura: per l'emergenza l'Unione Europea ha stanziato un milione e mezzo di euro.