Lesbo: il campo di Moria è una bomba ad orologeria

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Di Fay Doulgkeri
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Bambini malati, senza acqua calda, cibo non sano. Il nostro viaggio nel campo profughi di Moria, sull'isola di Lesbo

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Pochi bagni per migliaia di persone , spazzatura ovunque. È una vita di stenti, ormai non più sostenibile quella al campo profughi di Moria, sull'isola di Lesbo.

Nato per accogliere circa 2000 persone, oggi ne vede accampate il quadruplo. Da mesi le ong che operano nell'area chiedono al Governo greco una soluzione per ricollocare i migranti.

"Si può lavare un bambino di dieci mesi con l'acqua fredda? Non si può", dice uno di loro. "E il cibo, non è sano, non è sicuro. La notte scorsa io e uno dei miei vicini siamo andati all'ospedale".

Si diffondono le malattie, e naturalmente i più colpiti sono i bambini. Ma l'accesso alle medicine è complicato.

Adil è da tre anni a Lesbo. È uno dei fondatori di una ong che lavora a Moria: "Ovviamente non si stanno rispettando le minime norme igienico-sanitarie. Questo perché la gente è 'parcheggiata' qui, aspetta per molto tempo. Ci sono persone che attendono che si esamini la loro richiesta d'asilo da quasi due anni".

Nell'area gestita da questa ong l'acqua calda per lavarsi è presente, a differenza della zona in cui avevamo visto tanti bambini.

"Stiamo cercando di costruire una comunità qui", spiega il cooperante, "Invece di vedere queste persone solo come vittime della guerra, solo come dei bisognosi, stiamo cercando di permettere loro di riprendersi in mano la vita, di valorizzare questo capitale umano".

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