Caso Regeni, Roberto Fico al Cairo: Amnesty, "Auspichiamo una svolta"

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Di Antonio Michele StortoSimona Zecchi
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Abbiamo chiesto al portavoce di Amnesty, Riccardo Noury, quali implicazioni potrebbe avere il faccia a faccia tra Roberto Fico e il presidente egiziano al-Sisi

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È toccato a Roberto Fico, stavolta, volare al Cairo per sedersi di fronte al presidente egiziano al-Sisi. Un incontro dai toni molto meno concilianti rispetto a quelli già tenuti, nelle ultime settimane, dal ministro degli esteri Moavero Milanesi e dal vicepremier Di Maio.

Unico punto all'ordine del giorno resta l'omicidio Regeni: a un anno esatto dal rientro al Cairo dell'ambiasciatore Cantini, il presidente della Camera ha ribadito al capo di Stato Egiziano come i rapporti trai due paesi siano destinati a restare in tensione, fin quando sull'omicidio del ricercatore triestino non verrà fatta piena luce. "Giulio è stato ucciso due volte, la prima dalle torture la seconda dai depistaggi" avrebbe detto Fico ad al Sisi, sottolineando come non sia accetabile che dopo due anni e mezzo un processo non sia neppure iniziato.

Per comprendere meglio le implicazioni di questo incontro ci siamo rivolti a Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty international, che dal febbraio 2016 è sempre rimasta in prima linea nella ricerca della verità sul caso.

"Io credo nella sincerità e nella determinazione del Presidente della Camera" ha detto Noury. "D'altra parte, in questa accelerazione di incontri con le aurorià egiziane, cariche molto elevate del nostro governo, nello specifico i due vicepremier e il ministro degli Esteri, sono andate al Cairo e certamente non hanno avuto come priorità il tema dei diritti umani. L'auspicio è che la visita faccia tornare i diritti umani in cima all'agenda dei rapporti bilaterali tra i due paesi e che il Presidente al-Sisi si renda conto che la persona che sta incontrando in queste ore è un po' diversa dalle autorità di governo con cui ha interloquito finora, le quali non hanno fatto altro che omaggiarne il ruolo e l'importanza strategica nei rapporti tra i due paesi, a prescindere da ogni considerazione sui diritti umani".

Noury ha anche risposto, in merito alla collaborazione dell'Università inglese (sia per quanto riguarda l'assenza di collaborazione della tutor di Regeni Maha Abdelrahman sia in generale) che è inammissibile il fatto che l'istituto nonostante quello che è stato fatto al giovane ricercatore e nonostante la situazione dei diritti umani in Egitto ancora continui a collaborare con loro inviando i loro ricercatori. A gennaio del 2018, il giornalista Alberto Negri de Il Sole24Ore esperto del Medio Oriente nonché inviato in quelle zone, intervistato dal sito In Terris aveva rivelato un fatto insolito e insieme preoccupante. Ha riferito Negri: "Sei mesi dopo la tragica fine di Regeni, sono stato personalmente contattato dalla famiglia di un altro giovane ricercatore italiano di un’università britannica, che non è però Cambridge. Mi è stato chiesto di rivolgere un consiglio al ragazzo, a cui era stata offerta la possibilità di andare in Egitto a svolgere una ricerca simile a quella di Regeni. Io ho proposto di accettare l’incarico solo se prima fossero state avvertite le autorità egiziane. Ebbene, la ricerca non è più stata fatta perché l’istituto britannico ha rifiutato". Insomma, dopo la tragica fine di Giulio, un'altra università britannica voleva mandare allo sbaraglio in Egitto un altro ragazzo italiano. Se è vero, come anche ritiene il giornalista e tutti coloro che  hanno a cuore la vicenda, affinché si venga aca po della verità, che la verità va cercata principalmente in Egitto dove tutto è accaduto, è anche vero - cosi come aveva richiesto la stessa madre di Giulio Regeni - che la pista inglese (da qualsias parte porti) non possa e non debba essere abbandonata.

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