Fine del requiem, e adesso Genova, alzati!

Fine del requiem, e adesso Genova,  alzati!
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Di Paolo Alberto Valenti
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Verticali e drammatiche Genova e la Liguria hanno sfidato tutte le avversità. Da secoli.

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La stupefazione e la disperazione che accompagna la tragedia del Ponte Morandi a Genova va ben oltre un evento luttuoso che falcia decine di vittime (fra cui bambini e ragazzi), investe migliaia di famiglie, genera centinaia di sfollati e coinvolge milioni di europei che in vario modo avevano a che fare con Genova e il suo complicato assetto viario.

L’Autostrada dei Fiori, un tempo catalogata nelle meraviglie della rampante Italia mobile anni Sessanta, fra La Spezia e Ventimiglia, è una successione impressionante di viadotti e gallerie e rappresenta probabilmente la più costosa opera autostradale italiana e una delle più care del mondo anche “in virtù” di una manutenzione che si è dimostrata tanto tragicamente inefficace quanto incompetente.

L’AutoFiori non è che un replica in grande stile e sul piano regionale dell’altrettanto controversa sopraelevata che dalla fine di Corso Italia si addentra col cemento delle sue campate nel cuore portuale della città. Fondi cinematografici appartenenti alla Fondazione Ansaldo sono i depositari visivi delle grandi opere infrastrutturali liguri degli anni Cinquanta e Sessanta.

Spezzato il Ponte Morandi tutto cambia ma non solo per la Liguria: cambia tutto l’assetto della viabilità fra l’insieme della Costa Tirrenica italiana, le sue regioni e la Francia con conseguenze che rischiano di falcidiare non solo l’economia ligure ma di danneggiare l’Italia e l’Europa.

La Liguria è una terra drammatica che, stretta fra le coste e la montagna, s’infila con le sue rocce nel vento e nel mare. Un paesaggio che nonostante la sua feroce, istantanea bellezza non conforta e complica da secoli il lavoro e le attività dell’uomo.

La piana di Genova è stata nei secoli una pausa fra l’Appennino tosco ligure emiliano e le Alpi Marittime. Ma da sempre le comunicazioni sono difficili nell’insieme di una regione che si presenta ormai come una lunga città dispiegata a ventaglio fra le Cinque Terre e Ventimiglia.

Non aver saputo dare risposte efficaci alle criticità dell’autostrada ligure, o peggio averle ignorate, schiude conseguenze globali la cui portata è ancora ignota. In più quale fiducia potranno avere d’ora in avanti i clienti automobilisti e autotrasportatori in un tracciato che, fatto in alta percentuale da ponti, ha visto crollare quello che era il segmento di collegamento più lungo e sorvegliato?

“Genova mia città intera. Geranio. Polveriera. / Genova di ferro e aria, mia lavagna arenaria./ Genova tutta tetto. Macerie. Castelletto. / Genova di lamenti. Enea. Bombardamenti…….” L’abitudine alla sofferenza dignitosa dei liguri l’aveva cantata anche l’estro poetico dell’impareggiabile Giorgio Caproni che riconosceva nell’unico vero eroe credibile dell’antichità (“Enea che in spalla un passato che crolla……”) l’antenato delle vere genti di Liguria. Anche questa volta non si attenderanno i miracoli. I genovesi si rimboccheranno le maniche. Ma la disgrazia deve suonare come un allerta definitiva per tutti (per tutta l’Italia). Oltre questo spettacolare degrado non si può andare. E c’è un altro poeta che proprio negli anni Sessanta – all’atto del suo passaggio a Genova - ha saputo leggere con passione la nostalgia feroce che solo le contrade di Liguria trasmettono. Il parigino André Frenaud col suo “Il silenzio di Genova” ha praticamente regalato alla città un “Ulysses” joyciano tascabile – appena 207 densissimi versi – che racconta l’urbano e le sue passioni, il ventre della città e le sue tragedie. Ma quei versi le volevano scongiurare.

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