Paolo VI il Papa dimenticato e profetico

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Di Paolo Alberto Valenti
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Anche nell'ultimo Angelus Papa Francesco ha ricordato Paolo VI che sarà santo il 14 ottobre in occasione del Sinodo dei vescovi dedicato ai giovani

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Al termine della preghiera mariana, Papa Francesco ha ricordato domenica 5 agosto 2018 che quarant'anni fa il beato papa Paolo VI viveva le sue ultime ore. Morì infatti la sera del 6 agosto 1978, lasciando peraltro un testamento spirituale degno di un grande teologo diventato poeta.

Il 14 ottobre prossimo insieme a monsignor Oscar Arnulfo Romero, Paolo VI sarà canonizzato in piazza San Pietro nel corso del Sinodo dei vescovi dedicato ai giovani.

Giovanni Battista Montini, 262esimo successore di Pietro, si spense a Castelgandolfo lontano dall'attenzione generale e dalle veglie di popolo che accompagnarono l'agonia di Papa Giovanni XXIII e, successivamente, le ultime ore di Karol Wojtyla (Giovanni Paolo II).

Il Papa viaggiatore

Montini fu il primo Papa viaggiatore del Novecento. Capì subito quello che era il compito della Chiesa pellegrina sulla Terra.

Dopo 2000 anni come vicario di Cristo "tornò" in Terra Santa. Viaggiò in Africa, America, Oceania e Australia, Asia, fin quasi alle porte della Cina. Fu il primo Pontefice a tenere una conferenza alle Nazioni Unite, a New York parlò lunedì 4 ottobre 1965 col celebre discorso «Mai più la guerra».

Fu fu aspramente criticato e anche contestato, per lui venne coniato il soprannome di Paolo mesto. Eppure la memoria storica e gli esperti lo hanno profondamente rivalutato.

Qualche giorno fa l'Osservatore Romano, autorevole quotidiano della Santa Sede, ha evocato non solo la grande considerazione di Bergoglio per Papa Montini ma il valore profondo dell'enciclica Humane Vitae grazie alle parole di Lucetta Scaraffia, docente di storia contemporanea all'Università di Roma "La Sapienza".

L'ENCICLICA "HUMANAE VITAE" CINQUANT'ANNI DOPO

di Lucetta Scaraffia

Da "L'Osservatore Romano" del 25 luglio 2018

Cinquant’anni dopo la pubblicazione, l’enciclica "Humanae vitae" di Paolo VI si presenta agli occhi degli uomini di oggi in modo completamente diverso. Nel 1968 era un documento coraggioso – e quindi controverso – che andava contro l’aria del tempo, quella della rivoluzione sessuale, per realizzare la quale erano fondamentali un contraccettivo sicuro e anche la possibilità di aborto. Era anche il tempo in cui gli economisti parlavano di “bomba umana”, cioè del pericolo di sovrappopolazione che minacciava i paesi ricchi e poteva diminuire la loro prosperità.

Due forze potenti, quindi, si schieravano contro l’enciclica: l’utopia della felicità, che la rivoluzione sessuale prometteva a ogni essere umano, e la ricchezza, che sarebbe stata la logica conseguenza di una diminuzione della popolazione su vasta scala.

Oggi, cinquant’anni dopo, vediamo le cose in tutt’altro modo. Queste due visioni utopiche si sono realizzate, ma non hanno portato i risultati sperati: né la felicità né la ricchezza, ma piuttosto nuovi e drammatici problemi.

Se il crollo della popolazione nei paesi avanzati si sta confrontando a fatica con l’arrivo di masse di immigrati necessari ma al tempo stesso inaccettabili per molti, dal controllo medico delle nascite è iniziata l’invasione della procreazione da parte della scienza, con risultati ambigui, spesso preoccupanti e pericolosi.

Oggi, quando stiamo pagando tutti i costi di una brusca e forte denatalità, quando tante donne dopo anni di anticoncezionali chimici non riescono a concepire un figlio, ci rendiamo conto che la Chiesa aveva ragione, che Paolo VI era stato profetico a proporre una regolamentazione naturale delle nascite che avrebbe salvato la salute delle donne, il rapporto di coppia e la naturalità della procreazione.

Oggi che le ragazze appassionate di ecologia si rivolgono ai metodi naturali di regolazione della fertilità, senza neppure sapere che esiste l’"Humanae vitae", oggi che i governi cercano di realizzare politiche che favoriscano la natalità, dobbiamo rileggere l’enciclica con altri occhi. E, invece di vederla come la grande sconfitta della Chiesa davanti alla modernità dilagante, possiamo rivendicarne la lucidità profetica nel cogliere i pericoli insiti in questi cambiamenti e felicitarci, noi cattolici, che ancora una volta la Chiesa non sia caduta nella trappola allettante delle utopie del Novecento, ma abbia saputo coglierne subito i limiti e i pericoli.

Ma pochi ci riescono: per molti è ancora difficile staccarsi dalla vecchia contrapposizione tra progressisti e conservatori, all’interno della quale l’enciclica è stata fatta a pezzi, senza coglierne lo spirito critico e la forza innovativa. Ancora adesso, nessuno sembra ricordare che, per la prima volta, un papa ha accettato la regolamentazione delle nascite e ha invitato i medici a ricercare metodi naturali efficaci.

È molto importante, perciò, riuscire a guardare l’"Humanae vitae! con occhi nuovi, occhi di esseri umani che vivono nel secolo XXI, ormai consapevoli del fallimento di tante utopie e di tante teorie economiche che erano state proposte come infallibili.

Solo così possiamo affrontare i problemi di oggi della famiglia, il nuovo ruolo delle donne e i difficili rapporti fra etica e scienza, le cui radici stanno – anche se per alcuni aspetti inconsapevolmente – in quel testo del lontano 1968.

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