Strage di Bologna, 38 anni dopo la pista aperta dei mandanti

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Di Simona Zecchi
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Trentotto anni fa si è consumata una strage (l'ennesima) nel nostro Paese: la strage alla stazione di Bologna, una delle pochissime, e tra tutte la più sanguinaria, per la quale si è giunti a una definitiva soluzione giudiziaria. Eppure i segreti sono ancora tanti.

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Trentotto anni fa si è consumata una strage (l'ennesima) nel nostro Paese: la strage alla stazione di Bologna, una delle pochissime, e tra tutte la più sanguinaria, per la quale si è giunti a una definitiva soluzione giudiziaria. Eppure, 38 anni dopo quella deflagrazione, che alle 10.25 del 2 agosto 1980, alla stazione centrale del capoluogo emiliano, ha spezzato le vite di 85 persone ferendone 200, ancora diversi sono i capitoli aperti in termini di indagini.

Le indagini e i processi. A caldo del fatto, le prime ipotesi investigative prendono in considerazione lo scoppio di una caldaia, ma nel punto dell'esplosione elementi a comprovarlo non ne trovano. Dalla ricostruzione della polizia giudiziaria emerge che, con ogni probabilità, l'attentatore entra nella sala d'aspetto intorno alle 10,10, si concede quindici minuti per la fuga e alle 10,25 si trova ad alcuni chilometri di distanza dalla stazione. Si capirà presto comunque, mentre i lavori di scavo procedono a rilento, perché si continuano a cercare persone vive tra le macerie, che la causa della strage è un'altra: una bomba ad alto potenziale una miscela di tritolo e T4. Dal marzo del 2017 si è aperto un nuovo processo, il terzo dopo i primi due che vedono confermate da una parte in cassazione le condanne di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, già condannati in appello e in secondo grado e sempre proclamatisi innocenti - mentre si consumano due assoluzioni - e dall'altra, nel 2000, una terza condanna per Luigi Ciavardini (che all'epoca dei fatti era minorenne). Il nuovo ultimo indagato e l'unico ulteriore imputato nel terzo capitolo di questa storia ancora fitta di segreti è Gilberto Cavallini, che scontava, al momento dell'avviso di indagine, già il massimo della pena per alcuni omicidi politici, tra cui quello del giudice Mario Amato avvenuto poche settimane prima della strage di Bologna.

Il nuovo processo. L'ex Nar (Nuclei armati rivoluzionari ndr), che fu l'ultimo della banda di terroristi a essere catturato a Milano nel settembre 1983 era stato condannato per banda armata nello stesso processo sulla strage che portò all'ergastolo Mambro e Fioravanti. E' il cosiddetto processo sui mandanti, quello in corso, che proprio in questi giorni ha fatto emergere nuove carte quelle che porterebbero ai finanziamenti, sui quali torniamo qui a breve. Per quanto riguarda Cavallini, l'accusa ha messo sul tavolo l'ipotesi che abbia fornito quanto meno i covi in Veneto alla latitanza dei Nar e dunque partecipato alla sua preparazione (concorso in strage l'accusa ndr). Il dossier, consegnato alla magistratura dall'Associazione delle vittime per la strage di Bologna, che ha dato l'avvio alle nuove indagini poi confluite in questo nuovo processo, è composto di atti di vari processi, fa nomi e cognomi di presunti mandanti, complici e strutture di una 'insurrezione armata' contro lo Stato. Un altro filone d'indagine invece riguarda dei militari, con l'aggravante dell'alto tradimento, ed è stato da tempo trasferito a Roma. Ad aprile di quest'anno, poi, la pista internazionale è stata definitamente esclusa, come ulteriore filone da affrontare nel nuovo processo, dai giudici della Corte d’Assise di Bologna escludendo a loro volta i testimoni proposti dai difensori dell’ex Nar legati a quella ipotesi investigativa (il terrorista Ilich Ramirez Sanchez detto Carlos lo Sciacallo, l'ex senatore Giovanardi e il leader di forza nuova Roberto Fiore).

I depistaggi e le piste internazionali. Negli anni delle inchieste, prima di giungere al primo processo e successivamente, i servizi italiani compiono un numero notevole di depistaggi. Oltre alla prima indagine in sé che portava allo scoppio di una caldaia, su segnalazione del capo dell'Antiterrorismo Santillo i magistrati bolognesi indirizzano le prime indagini verso una pista franco-italiana. A settembre del 1980 cominciano a uscire su stampa mainstream e agenzie stampa ambigue (come Agenzia Repubblica) riferimenti a piste internazionali. Pista che è anche suggerita dal venerabile P2 Licio Gelli (condannato per depistaggio sulla strage). Il generale Giulio Grassini, capo del Sisde dal 1977 e iscritto alla P2 di Gelli, avvalla la pista libanese del terrorismo italo-tedesco ma precisa che i nominativi italiani sono camuffati in lingua straniera e che non c'è la possibilità di ottenere un elenco preciso. Compare poi sul 'Corriere del Ticino' un'intervista a Abu Ayad, dirigente dell'Olp, il quale riferisce informazioni sull'esistenza di campi di addestramento per stranieri nei pressi di Aqura, nella zona est di Beirut. Durante l'interrogatorio del 5 luglio 1985, però il colonnello dei servizi, Giovannone ammette che il Sismi è consapevole dell'inconsistenza della pista libanese.

Ma è nel 1981, per esattezza il 13 gennaio, che avviene il depistaggio maggiore. Una valigia viene intercettata in uno scompartimento di seconda classe dell'espresso 514 Taranto-Milano. Il contenuto fa supporre a un attentato non riuscito. Nella valigia c'è un mitra Mab, costruito dalla Beretta nel 1943 per l'esercito tedesco con due caricatori pieni. L'arma ha il calcio di legno segato, sostituito da un altro di metallo e la canna mozzata. Il mitra proviene dal deposito di armi scoperto il 27 novembre 1981 al ministero della Sanità.

Il giudice di Bologna Leonardo Grassi, oggi membro della commissione al lavoro sugli atti da rendere pubblici, sostiene che sia stato prelevato dall'uomo della Banda della Magliana, Massimo Carminati (oggi in carcere per mafia Capitale ndr) e consegnato nelle mani dei graduati del Sismi, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte. Il mitra Mab viene preparato da Carlo Digilio, per sua stessa ammissione. Digilio, uomo della organizzazione di estrema destra ordine Nuovo, inizia la sua attività nel 1967 come fiduciario della Cia (USA) nel Veneto. Sarà poi un ex terrorista nero e collaboratore di giustizia, Sergio Calore, a scagionare Carminati dal depistaggio. Calore muore nel 2010 colpito barbaramente nelle campagne fuori Tivoli (Roma).

La Pista Palestinese e il lodo Moro.

L'esistenza del 'lodo Moro', affrontata dalla stessa procura di Bologna nel 2014 durante le indagini preliminari dell'ultimo processo, non ha trovato alcuna conferma nelle indagini della polizia giudiziaria, nelle consultazione degli archivi dei servizi di sicurezza, né nella copiosa documentazione acquisita. Ma sull'accordo tra l'Italia e i palestinesi, che avrebbeo voluto l'ex presidente DC Aldo Moro, secondo cui i palestinesi avrebbero potuto trasportare armi ed esplosivi in Italia in cambio di un'immunità dagli attacchi terroristici, ha trovato negli anni più conferme. Non ultima quella giunta dalle parole del capo della Polizia Franco Gabrielli.

E' questo fattore, ancora oggi ampiamente dibattuto in poltica e nei media, a scatenare spesso il collegamento logico con la presenza di una pista palestinese. A dimostrazione che spesso elementi veri, verosimili o addirittura falsi possono mescolarsi sapientemente tra loro e creare coltri di "misteri" e segreti infiniti. Come a esempio la presenza del terrorista tedesco Thomas Kram presente a Bologna il 2 agosto 1980 e chiamato in causa più volte anche da Carlos 'lo Sciacallo. A mescolare le acque negli anni, e fino alla sua morte, si sono aggiunte anche le parole dell'ex presidente Francesco Cossiga che ha saputo stratificare affermazioni contraddittorie e spesso opposte tra loro sulla reale matrice della strage. Proprio sul terrorista tedesco a esempio affermò: ''Quelli del Sismi, intimoriti dalle accuse che gli venivano mosse in Parlamento, hanno trovato delle prove false del coinvolgimento di un tedesco. Ma lo hanno fatto partendo da un fatto vero perché il terrorista c'era ed era proprio Kram''. Quello che è anche possibile dire su questi fatti che spesso due piste apparentemente lontane tra loro possono camminare parallelamente su uno stesso terreno. Ai nostri microfoni lo ha anche detto il magistrato Otello Lupacchini. Ma è la procura che ha chiuso per sempre questa possibilità lo scorso 4 aprile.

La banconota spezzata e i finanziamenti del Venerabile. Proprio in questi giorni l'Espresso ha pubblicato alcuni fatti nuovi che porterebbero alla pista dei finanziamenti utilizzati per la strage. Anche se in realtà di questi elementi ne aveva già scritto una équipe di giornalisti nel libro "Alto Tradimento". Il 12 settembre 1983 - riferiscono i colleghi Biondani e Tizian del settimanale - "i carabinieri perquisiscono a Milano un covo di Cavallini. Tra le sue cose, elencate nel rapporto, il reperto numero 2/25 è una stranezza: una mezza banconota da mille lire, con il numero di serie che termina con la cifra 63 [...] Tra migliaia di atti ufficiali dell’organizzazione Gladio, la famosa rete militare segreta anticomunista, spuntano foto di banconote da mille lire, tagliate a metà, e fogli protocollati che spiegano a cosa servivano: erano il segnale da utilizzare per accedere agli arsenali, per prelevare armi o esplosivi, in particolare, dalle caserme in Friuli. Su una foto si legge il numero di una mezza banconota: le ultime due cifre sono 63. Le stesse delle mille lire spezzate di Cavallini." Nei giorni precedenti all'anniversario, il 24 luglio scorso, invece, il quotidiano bolognese "Il Resto del Carlino" ha fatto infuriare la Procura di Bologna perché ha parlato di iscrizione sicura di indagati e rogatorie in Svizzera sui conti correnti riconducibili al capo della P2 Licio Gelli, morto nel 2015. La Procura generale, che nei mesi precedenti aveva avocato a sé il fascicolo mandato verso l'archiviazione da quella ordinaria, ha smentito con forza la notizia e il presidente dell'associazione vittime Paolo Bolognesi ha invitato la stampa a essere molto prudente per non intralciare e non rendere vano il lavoro della procura.

Nella mattinata la cerimonia di commemorazione a Bologna vede anche la partecipazione del presidente della Camera Roberto Fico e del ministro della giustizia Alfonso Bonafede. Mentre Il presidente della Repubblica, Mattarella, ha lasciato un monito nel messaggio istituzionale consegnato ai cittadini: "I processi giudiziari sono giunti fino alle condanne degli esecutori, delineando la matrice neofascista dell'attentato. Le sentenze hanno anche individuato complicita' e gravissimi depistaggi. Ancora restano zone d'ombra da illuminare."

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