Parto con epidurale in Italia: un Paese spaccato in due, al Sud meno della metà dell'offerta

Parto con epidurale in Italia: un Paese spaccato in due, al Sud meno della metà dell'offerta
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Di Lillo Montalto Monella
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La mappa di dove è possibile chiederla e ottenerla gratuitamente, 7 giorni su 7. Entrata tra i livelli essenziali di assistenza e raccomandata dall'OMS, la partoanalgesia rimane un diritto non esigibile in molte aree del meridione. Strutture inadeguate e mancanza di personale le cause

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"Qui, a parte il cesareo, l'epidurale non esiste. Ti fanno arrivare alla fine stremata, senza forze, e insistono sul parto naturale. Il personale non è preparato e non vuole prendersi la responsabilità. In ospedale non lo propongono neanche. Devi partorire con dolore".

Questa è la testimonianza di Anna (nome di fantasia per preservarne l'anonimato) che ha partorito il suo primo figlio all'ospedale di Canicattì, in provincia di Agrigento. Racconta di aver fatto ventisette ore di travaglio, di aver ricevuto massicce dosi d'ossitocina, di essere stata sedata con conseguente interruzione del travaglio, di aver subito una dilatazione manuale del collo dell'utero, "mi salivano sulla pancia per farlo uscire" ("ero senza forze e non riuscivo a spingere [...] nessuno mi ascoltava e dicevano che non ero in grado di intendere e di volere"), di essere stata costretta a partorire naturalmente - con conseguente episiotomia - nonostante il bimbo pesasse già 4kg e mezzo.

La rassegna di violenze ostetriche subite non è comune, ma come lei migliaia di altre donne, in Italia, non hanno accesso all'analgesia epidurale gratuita nell'ospedale in cui scelgono di partorire.

La media nazionale dice che la sceglie (ma soprattutto, la ottiene) una futura mamma su cinque, ma non esistono dati certi per molte regioni meridionali, dove le percentuali sono stimate essere di molto inferiori rispetto a questo 20/25% del Nord: non più del 10%, stima in difetto l'osservatorio Onda.

Regioni come la Lombardia hanno percentuali di epidurali (sul totale di nascite vaginali) oltre il 25% (2016). In Veneto ed Emilia Romagna siamo al 20% (2015), in alcuni ospedali come il S. Anna di Torino al 38% mentre al Sud mancano dati certi ma si stima che le analgesie praticate, in media, siano meno della metà.

"Abbiamo rischiato grosso, tutti e due. Sono molto favorevole all’analgesia dopo tutto quello che ho passato: il dolore si può sopportare, ma alcune cose no", conclude Anna.

La mappa dell'epidurale gratuita in Italia

La mappa dei centri che la garantiscono l'epidurale gratuita sempre e comunque (fonte: doveecomemicuro, realizzata con la collaborazione di O.N.Da) restituisce un'Italia divisa in due, con una grande concentrazione di punti nascita in cui è possibile un parto meno doloroso nella Pianura Padana - nonostante la diffusione di grandi nosocomi (con più di 1000 parti all'anno) in tutto il Paese.

L’ingresso nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e la raccomandazione dell’Oms

Tutto è cambiato nel gennaio 2017. Applicando una legge del 2010 tesa al raggiungimento dell’obiettivo “Ospedale senza dolore”, l’analgesia (anche epidurale) durante il travaglio e nella fase espulsiva (la letteratura scientifica dice che dovrebbe coprire dall'inizio alla fine) è entrata per decreto ufficialmente nei Lea, ovvero gli standard “qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera”. Tutte le Regioni dovranno adeguarsi, alcune si sono mosse prima (come la Puglia) mentre altre stanno già deliberando in tal senso (come la Calabria). Ma dalla delibera alla messa in pratica e, soprattutto, all'inalzamento delle percentuali, dovrà passare ancora del tempo.

"Nel momento in cui la offri, le donne la chiedono e si sale sopra il 20%", commenta la dott.ssa Ida Salvo, membro dell'Advisory Board di Onda e Responsabile Anestesia, Rianimazione e Terapia Intensiva Pediatrica presso l'Ospedale dei Bambini Vittore Buzzi, Milano.

L'Oms, massima autorità sanitaria mondiale, ha inserito l’analgesia epidurale - procedura che, si legge, contribuisce a “medicalizzare” il parto - tra le 56 raccomandazioni per la cura intraparto. Non è raccomandata, invece, la combinazione con l’ossitocina. “Il desiderio dell’analgesia epidurale può essere moderato dal contesto clinico e dalla conoscenza e accesso [da parte di chi partorisce] a forme alternative di attenuazione del dolore”.

Nel rapporto Percorso Nascita voluto dall’Istituto Superiore di Sanità (indagini 2008-9 e 2010-11) per valutare e implementare gli indicatori assistenziali in gravidanza si parla anche dell’epidurale. Nonostante sia definita una “nuova forma di espropriazione”, viene scritto che è “inaccettabile che non venga resa disponibile gratuitamente”.

L'epidurale nel mondo

In Francia, come è noto, sono altissime le percentuali di donne che scelgono l'analgesia - soprattutto per il primo parto. All'ospedale della Croix Rousse di Lione, uno dei più rinomati centri di natalità del Paese, è fortemente consigliata fin dai corsi preparto. Qui, tra i parti vaginali naturali delle primipare, il 98.6% delle future mamme sceglie la peridurale.

Negli anni, oltralpe, la crescita è stata esponenziale: secondo l'ultimo rapporto ministeriale 2016, prima del loro arrivo in reparto maternità solamente il 14.6% delle future partorienti sceglie di non avvalersene. Durante il travaglio, c'è invece un aumento di richieste di epidurale fino ad arrivare ad una percentuale dell'82.2%. Nel 1981, stima Le Monde, ci si attestava sul 3.9%, con un vero e proprio balzo a cavallo degli anni '90.

PER APPROFONDIRE: Violenza ostetrica, attenzione al "modello fordista" per le donne partorienti

Negli USA più della metà delle donne ne fa ricorso: uno studio della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva indica, per gli States, una cifra che oscilla tra il 60 e il 67%.

In Canada si raggiunge il 40% (dato 2017), in Svezia il 66.1% (2015), in Finlandia l'89% (2010) mentre in Danimarca il 31% (2010).

Nel Regno Unito, uno studio aggiornato al febbraio 2017 su donne con gravidanze a basso rischio ha dimostrato come i livelli di interventismo medico siano minori con parti in casa e nelle unità in cui lo staff è composto da sole ostetriche: meno epidurali, meno parti strumentali, meno cesarei, più soddisfazione materna ma stesse percentuali in termine di sicurezza.

Secondo il rapporto NHS Maternity Activity in England, la percentuale di parti con anestesia o analgesia è scesa dal 68.6% nel 2006-7 al 60% nel 2016-17, con percentuali più alte per le donne che partoriscono in età avanzata.

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In Spagna, paese d'origine dell'inventore della tecnica, il medico militare Fidel Pagés Miravé (1921), è sempre consigliata: 7 donne su 10 optano per l'epidurale (Sociedad Española de Anestesiología, Reanimación y Terapéutica del Dolor, SEDAR).

In Paesi come il Giappone, che ha tra le percentuali minori del cosiddetto Primo Mondo, l'epidurale è stata scelta dal 6.1% delle partorienti (+2.6% rispetto al 2007): incidono fattori culturali, scrive Quartz, ma anche la mancanza di anestesisti e personale soprattutto nelle aree rurali.

Perché in Italia l'offerta è minore rispetto ad altri Paesi

La partoanalgesia "resterà un diritto fantasma in molti ospedali" per mancanza di personale, ritiene l'Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani (Aaroi - Emac).

Alessandro Vergallo, Presidente Nazionale di Aaroi-Emac, stima che manchino all'appello almeno 3mila medici, anestesisti e rianimatori "senza considerare l'analgesia del parto: se si vuole garantirla in tutti gli ospedali, questa cifra va raddoppiata".

L'obiettivo da raggiungere, il gold target, è una copertura del 30% al netto di un fisiologico 20% (circa) di nascite con parto cesareo e dai casi di impraticabilità tecnica o fisiologica. "È difficile che nei Paesi europei si raggiungano standard superiori al 60% mentre in Italia le analgesie effettivamente praticate sono poco al di sotto del 20%", dice ad euronews.

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In Italia, nel 30/35% dei casi viene usata la tecnica PCA, patient-controlled analgesia, ovvero il metodo di somministrazione del farmaco che consente alla partoriente di regolare da sola tempi e quantità di rilascio, "con una forte connotazione psicologica più che tecnica" perché si ha la "sensazione reale di essere più partecipi". Alcuni studi dimostrano che è possibile ottenere così un miglior tempismo.

A livello culturale "c'è stato un grande passo avanti in Italia, superando la diffidenza di alcuni anni fa", continua il dott. Vergallo. "Ma il fattore limitante è la mancanza di personale: se non ho un anestesista in turno, non posso garantirla. Se è impegnato con una milza rotta, non può sdoppiarsi. In questo caso non la si propone neanche e si crea un disservizio che in realtà non c'è".

C’è altro fattore, oltre alla carenza di dottori: è quello strutturale. In molti casi, la sala travaglio (l'analgesia si effettua nella camera di degenza dove avviene il travaglio) è fisicamente distante dalla sala operatoria d’emergenza dove si effettua il cesareo. "Quando c'è un cesareo d'urgenza, ha la priorità sull’analgesia del parto. Se la sala travaglio è distante e l'anestesista è impegnato con un cesareo a quattro padiglioni di distanza, essa non può essere soddisfatta", fa notare il dott. Vergallo.

Le nuove assunzioni potrebbero costare sui 200 milioni di euro, stima Aaroi-Emac, ma il costo verrebbe drasticamente abbattuto dalla riduzione di ore di straordinario del personale e dalla chiusura dei piccoli punti nascita.

"Un ospedale con un piccolo punto nascita, sotto il centinaio di parti all'anno, ha bisogno di almeno 6 ginecologi e 12 ostetriche per garantire l'h24 della guardia. In questi ospedali c'è solo un anestesista, non viene pagato h24 ma viene utilizzata la reperibilità", conclude il dott. Vergallo.

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Ospedali piccoli vs ospedali grandi

Aaroi-Emac e Siaarti rilanciano l'indicazione del Ministero della Salute, ovvero "offrire la parto-analgesia con epidurale solo nei centri più grandi, quelli cioè che effettuano più di 1000 parti all'anno. Così facendo, si raggiungerebbe anche l'obiettivo di centralizzare i parti nelle strutture più sicure. Le donne, infatti, sarebbero portate a scegliere gli ospedali che offrono la parto-analgesia 24 ore su 24."

L'idea è quella di garantire i livelli di assistenza nelle aree rurali del Paese ottimizzando però le risorse già esistenti: nel milanese, per esempio, sono tanti i punti nascita di piccola e media dimensione a pochi chilometri l'uno dall'altro. Non vengono chiusi "per spinte politiche locali", commenta Vergallo.

"I centri sotto i 500 parti all'anno, quasi uno su quattro in Italia, costano tanto e sono pericolosi", gli fa eco la dott.ssa Ida Salvo dell'osservatorio Onda e Siaarti. "Le donne incinte devono capire che vale la pena fare 15-20 minuti di strada in più per essere sicure, se decidono di partorire in ospedale".

L'obiettivo è avere un centro con epidurale h24 in ogni provincia. "Anche Sondrio deve avere la stessa media di Milano, così come è importante che quanto si fa a Roma venga fatto anche a Viterbo", aggiunge la dott.ssa Salvo.

Il rischio è quello di avere "cattedrali nel deserto" come l'ex Fatebenefratelli di Palermo che è stato tra i primi in Italia ad offrirla alle partorienti, con percentuali "oltre il 60%", ma con una situazione ferma al palo nelle altre province siciliane - cosi che "chi vuole l'epidurale si scaraventa a Palermo", conclude la dott.ssa Salvo.

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Autodeterminazione violata: ogni anno sono 20mila bimbi non nati per colpa della violenza ostetrica

"La questione dell’epidurale è piuttosto politica. Quando le donne non ricevono l'informazione sull'epidurale, si sentono violate nel loro diritto di scegliere, nella loro autodeterminazione", commenta Elena Skoko, fondatrice dell'Osservatorio sulla Violenza Ostetrica. "L’uso dell’epidurale è un atto medico che però viene percepito come un diritto, senza tenere in considerazione le conseguenze" spiacevoli.

A proposito di non poter scegliere: Anna, la donna che ci ha raccontato la sua esperienza, racconta che non solo in ospedale non le è stato proposta l'epidurale, ma neanche al corso preparto. "L'ostetrica era contraria: non sono preparati e non vogliono prendersi responsabilità, secondo me. Con il parto naturale possono assentarsi ma con l'epidurale devono monitorarti e stare molto più attenti".

Skoko sottolinea l'analgesia ha i suoi benefici ma anche le sue criticità e denuncia la mancanza di informazione, in alcuni ospedali, circa "i tanti altri metodi, dai massaggi all'agopuntura, che permettono di affrontare il dolore e alla donna di muoversi più liberamente, senza essere costretta a letto, in posizione sdraiata".

Quando nel 2016 l’Osservatorio ha lanciato la campagna #BastaTacere contro la violenza osteterica, tra le testimonianze arrivate c’è stato chi ha raccontato di una “epidurale tolta subito perché per spingere bisogna sentire” oppure di epidurali che non fanno effetto ma senza che le donne vengano credute dagli operatori sanitari. “Ma io sento, lo faccio presente e vengo ignorata, parlano degli affari loro, mi pungono e io sento [...] l’anestesista mi dice di smetterla di far scene e che spera che svenga dal dolore così sto zitta”.

"Dai dati non emergono le storie personali e la soddisfazione della partoriente non é un parametro utilizzato nei questionari", commenta Skoko. Essa, comunque, non aumenta in caso di epidurale, anzi.

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Nel rapporto Percorso Nascita citato sopra, si legge che “il livello di soddisfazione risulta meno positivo sia in caso di taglio cesareo che di epidurale": l'esperienza del parto spontaneo senza anestesia è giudicata ottima dal 56.4% di italiane e il 52.4% di straniere rispetto alle percentuali del parto spontaneo con epidurale (52.4% e 50.6%).

"Anche l'OMS ha sottolinea l’importanza di proporre altre metodologie di sollievo dal dolore. È una questione di autodeterminazione e di scelta che si scontra con gli aspetti economici e organizzativi della struttura", puntualizza Skoko

Tra i metodi alternativi ci sono: il protossido d'azoto, il parto in acqua, tecniche di rilassamento e respirazione, vocalizzazione, supporto 1 a 1 dell'ostetrica, posizioni alternative, massaggi, musicoterapia, hypnobirthing, aromaterapia, agopuntura, riflessologia.

Secondo la ricerca nazionale realizzata da Doxa per conto dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica, in collaborazione con le associazioni La Goccia Magica e CiaoLapo Onlus, il 21% delle mamme italiane avrebbe subito un maltrattamento fisico o verbale durante il primo parto.

Ben 4 mamme su 10 dichiarano di aver subito azioni lesive della dignità personale: un trauma così forte da far decidere al 6% del totale di non avere più altri figli, per un totale di 20.000 bambini mai nati ogni anno.

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L'Osservatorio tuttavia condanna la chiusura di tutti i centri sotto i 500 parti in quanto "verrebbero chiusi anche gli ospedali in zone con difficile comunicaione stradale: il ministero prevede una deroga in questi casi ma poi dipende dalle Regioni. In Alto Adige è stato chiuso il punto di Vipiteno, in mezzo alle montagne, struttura di eccellenza per il parto fisiologico da quasi 1000 parti all'anno, mentre a Lampedusa ci vuole l'elicottero se si deve partorire all'improvviso". Invece di chiudere gli ospedali più piccoli, viene proposta invece "l'apertura di case per il parto fisiologico con ostetrica".

"Non dimentichiamoci", conclude Skoko, "che questa cosa del grande centro non sempre è ideale: nei grandi ospedali c’è più violenza ostetrica, con tante persone che partoriscono nello stesso momento: l'esperienza non è gratificante e non garantisce intimità".

Assenza di un monitoraggio statale - anche a livello di soddisfazione della partoriente

Al momento non esiste un monitoraggio nazionale o un dato complessivo sulla diffusione dell'analgesia epidurale in Italia, dove di fatto ci sono 20 sistemi sanitari diversi. Si attende il rapporto con i dati CedAP (Certificato di Assistenza al Parto), le schede compilate dalle ostetriche ogni qual volta nasce un bambino: dal prossimo, relativo all'anno 2016, si troverà anche l'indicazione relativa alla terapia antalgica ma non quella relativa alla soddisfazione della donna che ha partorito.

Il Ministero della Salute non ha risposto alla richiesta di dati nazionali avanzata da euronews.

Dati certi si hanno per molte regioni del nord e del centro Italia mentre al Sud, in molti casi, non sono ancora disponibili. Il monitoraggio nazionale si basa "su iniziativa volontaria di diversi network di medici che si fanno carico di raccogliere i dati, dipende dalla buona volontà degli operatori che fanno rete tra loro", commenta il dott. Vergallo.

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Più epidurali = meno cesarei

L'Associazione Onda ha dimostrato che più della metà dei cesarei richiesti dalle donne (soprattutto nei piccoli punti nascita) avviene per paura del dolore del travaglio. Garantendo l'accesso all'epidurale, quindi, si ridurrebbe anche il numero dei cesarei commenta la dott.ssa Salvo. "Anche in questo siamo tra i peggiori in Europa. Non è giustificabile, in ogni caso, che alcune piccole strutture arrivino a effettuare un 50-70% di cesarei. Un'alta percentuale si può accettare soli in un centro di riferimento dove giungono i casi più problematici, ma non in una piccola casa di cura".

In Italia è alta l'incidenza di cesarei, "soprattutto in Campania e in tutto il Sud, dove siamo intorno al 40% quando deve essere sotto il 20%", aggiunge la dott.ssa Salvo.

Qui è possibile trovare i dati regionali sui cesarei.

Niente tatuaggi se volete fare l'epidurale

Un'ultima curiosità: non potrete fare l'epidurale se avete un tatuaggio che vi copre la zona lombare della schiena interessata in quanto l'ago potrebbe intaccare l'inchiostro. "Ma se arriva una ragazzina e le dici subito di no, le crei il panico. Ecco perché è importante offrire delle alternative. Anche il protossido d'azoto, che non demonizzo, nonostante sia meno efficace dell'epidurale", indica la dott.ssa Salvo.

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