A un giorno dall'ingresso nella città curdo-siriana, il governo turco torna in polemica con gli Stati uniti. formalmente alleati di entrambe le parti in causa
L'esercito turco e le milizie siriane, alla fine, sono riuscite a entrare ad Afrin senza interferenze da parte degli Stati Uniti, che pure con le forze curde continuavano a collaborare per bonificare la zona dalla presenza degli ultimi miliziani di Daesh. Nonostante questo, però. ad appena un giorno dall'ingresso in città, il governo turco ha voluto lanciarsi in una nuova polemica verso i vecchi alleati Nato, per via dell'ingente numero di armi di provenienza statunitense che i soldati turchi affermano di aver rinvenuto nell'area.
"Abbiamo chiesto più volte agli Stati Uniti di recuperare le armi che avevano fornito ai terroristi del Pyd e dello Ypg - ha dichiarato il vicepremier turco Bekir Bozdag - ma purtroppo non lo hanno fatto. Ad Afrin, quindi, molte di quelle armi hanno dovuto sequestrarle i nostri soldati. Noi non non abbiamo intezione di restare in città come forza di invasione permanente. Lo scopo della nostra operazione è bonificare la regione dalla presenza dei terroristi e ricostruire un clima di pace fiducia e stabilità, così da riconsegnare l'area ai legittimi proprietari".
Pur non essendo ancora chiaro chi siano i legittimi proprietari di di cui la Turchia continua a parlre dall'inizio dell'operazione, il messaggio tra le righe è facilmente intuibile.
Erdogan ha più volte ribadito di voler proseguire la campagna verso est, per espellere i curdi dalle città di Manbij, Kobane, e Ras al Ayn. Zone, queste, in cui la presenza statunitense è decisamente piu consistente: per questo, lo scorso febbraio, alla vigilia del soggiorno turco dell'ex segretario di stato Rex Tillerson, Erdogan aveva già minacciato i vecchi alleati americani di rifilar loro "un ceffone ottomano" se avessero cercato di intervenire in difesa dei curdi.
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