USA, sospeso il diritto all'aborto per una migrante 17enne senza documenti

USA, sospeso il diritto all'aborto per una migrante 17enne senza documenti
Di Euronews
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Battaglia legale sul diritto all'interruzione di gravidanza volontaria per una ragazza che cerca asilo nel Paese. Se vuole farlo, lasci gli Stati Uniti e se ne torni a casa la risposta del governo USA

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Gli Stati Uniti d’America hanno vietato a una ragazza immigrata di 17 anni, sotto custodia in una struttura federale, di abortire. Almeno fino a nuovo ordine, ovvero quando il suo appello non verrà accolto dalla giustizia.

Ne dà notizia il Center for Investigative Reporting. L’ ordine della Corte d’Appello statunitense di Washington DC, emesso giovedì, blocca temporaneamente la sentenza di un giudice federale del giorno prima che obbligava il governo a riconoscere il diritto all’interruzione di gravidanza della migrante in una clinica del Texas. L’aborto viene così impedito alla giovane, chiamata nelle carte del processo come JD, Jane Doe. Questo potrebbe avere conseguenze su centinaia di altre donne senza documenti al momento presenti negli Stati Uniti, scrive il New York Times

La ragazza potrà comunque presentarsi ad un appuntamento medico preliminare in una struttura sanitaria locale. Un comitato composto da tre giudici, Karen L. Henderson, Brett Kavanaugh and Patricia Millett, si pronuncerà venerdì 20 per dare il via libera o meno all’aborto.

L’American Civil Liberty Union (ACLU), tra le favorite per il Nobel della pace di quest’anno, fornisce assistenza legale a Jane Doe e sostiene che dalle email interne del Department of Health and Human Services Office of Refugee Resettlement, l’ente federale che gestisce i minori non accompagnati, si dimostrerebbe l’esistenza di una nuova direttiva in cui si vieta l’aborto per i migranti minorenni entrati illegalmente nel paese.

Il nuovo direttore del Dipartimento sotto la presidenza Trump, Scott Lloyd, avrebbe consigliato di indirizzare le donne incinta ad un tipo di assistenza psicologica di stampo cristiano, contraria all’aborto, invece che alle cliniche mediche specializzate. Prima del suo arrivo, l’ufficio di competenza per i rifugiati aiutava economicamente le interruzioni volontarie di gravidanza in seguito a incesto o stupro.

Stando alle testimonianze di ACLU, alla ragazza in questione è stato impedito in due occasioni di lasciare la struttura federale in cui è ospitata per recarsi in una clinica per aborti del Texas meridionale. Questo nonostante un giudice le abbia permesso di allontanarsi sotto la custodia di un assistente.

Paura che gli USA diventino un “santuario per gli aborti dei clandestini”
Un comunicato emesso dalla Administration for Children and Families del dipartimento di sanità statunitense va perfino oltre, scrivendo che la decisione di mercoledì – bloccata dalla corte d’appello – “crea un pericoloso precedente nell’aprire i nostri confini a ogni minore illegale che sceglie di abortire a spese dei contribuenti americani. Faremo di tutto per assicurarci che il nostro Paese non diventi un santuario aperto per aborti finanziati dalle nostre tasse di chi oltrepassa il confine in maniera illecita”. Una preoccupazione condivisa dal procuratore generale del Texas, Ken Paxton.

Un tipo di affermazione non supportata dalle statistiche ottenute da Reveal secondo cui, nel 2014, delle 726 gravidanze tra migranti senza documenti, solo 5 sono state interrotte. Il Dipartimento di Giustizia americano ha giustificato la decisione scrivendo che essa non avrebbe leso il diritto all’aborto della ragazza: al contario, si tratterebbe di “un rifiuto di facilitarlo”. Se Doe vuole terminare la sua gravidanza, la posizione del Governo, dovrà rinunciare a rimanere sul suolo americano e tornarsene a casa.

ACLU stima che, al momento, ci siano fino a un migliaio di ragazze non accompagnate e incinta nella stessa situazione di Jane Doe nei centri di custodia federali.

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