L'Italia e la pena di morte

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Ben 142 gli anni serviti al nostro paese per arrivare alla piena abolizione (con buona pace di Cesare Beccaria...)

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142 gli anni che sono serviti per arrivare alla piena abolizione della pena di morte in Italia. Un percorso travagliato che va dal dal 13 marzo del 1865 quando per la prima volta la Camera dei deputati voto per la moratoria, al 2007, anno in cui una legge costituzionale ha cancellato l’ultimo accenno alle esecuzioni nell’ordinamento italiano.

“Non si può insegnare a un popolo a ripudiare l’omicidio, se lo Stato stesso ne fa uso”

Così scriveva nel 1764 l’illuminista italiano Cesare Beccaria, nel suo opuscolo dal titolo Dei delitti e delle pene. Coraggiosa denuncia dell’arbitrio imperante delle monarchie assolute. Un testo moderno, di riflessione sulla funzione rieducativa della pena, quella di morte era giudicata dal filosofo milanese, ingiusta perchà immorale, da cui ebbe origine il lungo e travagliato percorso che portò all’abolizionismo in Italia. Nel 1876 il Granducato di Toscana, sotto il regno di Pietro Leopoldo Asburgo Lorena, fu il primo stato al mondo ad abolire la pena di morte.

Torture e supplizi di ogni genere inflitti ai condannati esistevano già dal medioevo e sono rimasti per gran parte del settecento. I colpevoli erano costretti a subire mutilazioni, squartamenti e annegamenti e dopo una lunga agonia andavano incontro alla morte.

Mastro Titta, era il soprannome di Giovanni Battista Bugatti, nacque a Senigallia il 6 marzo 1779 e morì a Roma il 18 giugno 1869. Ufficialmente il suo mestiere era quello di verniciatore di ombrelli, ma in realtà era il boia dello Stato Pontificio, il “maestro di giustizie”. Uccise oltre 500 persone.

Nel Regno d’Italia la massima pena venne prima cancellata nel 1889 grazie al codice penale unificato detto anche Zanardelli, per poi essere reintrodotta dal fascismo nel 1926. Benito Mussolini la scelse per punire coloro che avessero attentato alla vita o alla libertà della famiglia reale o del capo del governo e per vari reati contro lo Stato.

Il 1 gennaio del 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, la pena di morte venne di nuovo eliminata, anche se fino al 1994 il codice penale militare di guerra la prevedeva ancora per un’ampia gamma di reati.

“La pena di morte si esegue, mediante fucilazione, nell’interno di uno stabilimento penitenziario, ovvero in un altro luogo indicato dal Ministro della giustizia. L’esecuzione non è pubblica, salvo che il Ministro della Giustizia disponga altrimenti”
Dall’art. 21 del Codice penale (da ritenersi abrogato)

All’alba del 4 marzo 1947 avvenne l’ultima esecuzione capitale in Italia. Al poligono di tiro delle Basse di Stura, vicino a Torino, davanti a un plotone d’esecuzione vengono portati Giovanni Puleo, Francesco La Barbera e Giovanni D’Ignoti. I tre siciliani sono stati condannati alla fucilazione, perchè ritenuti colpevoli di una strage avvenuta due anni prima nel torinese.

Si dovrà aspettare il l 18 dicembre 2007, quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una mozione presentata dal Governo italiano su impulso dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” con la quale è stata decretata la moratoria, ovvero la sospensione a tempo indeterminato, dell’esecuzione delle sentenze capitali.

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