L'Ong non vuole essere "complice" delle violazioni dei diritti umani in Libia e sposta le operazioni nel sud-est asiatico
Due navi in meno nel Mediterraneo per soccorrere i migranti. Sono la Phoenix e la Topaz Responder della Moas, organizzazione non governativa che ha deciso di sospendere le operazioni di ricerca e soccorso per spostarsi nel sud-est asiatico. L’ong ha giustificato la decisione evocando la situazione in Libia dove, spiega in un comunicato, “non è chiaro cosa succeda ai danni delle persone più vulnerabili”. L’organizzazione basata a Malta afferma di non voler “diventare parte di un meccanismo in cui, mentre si fa assistenza e soccorso in mare, non ci sia la garanzia di accoglienza in porti e luoghi sicuri”. Le attenzioni della Moas andranno quindi ora ai Rohingya in fuga da Myanmar.
#MOAS continues to be driven by the principles of #courage, #mercy and universal #brotherhood. #RescueHumanity 1/2https://t.co/vrBympXbCo
— MOAS (@moas_eu) 4 settembre 2017
La Migrant Offshore Aid Station non è la prima a sollevare la questione della Libia. La settimana scorsa da Augusta un portavoce dell’Agenzia Onu per i rifugiati, Marco Rotunno, commentava così il calo di arrivi via mare nelle ultime settimane: “Un minor numero di arrivi non vuol dire che la gente non sia in pericolo e che non abbia bisogno di ricevere protezione in Libia, perché ci sono centinaia di migliaia di persone in questo momento che sono detenute in centri in Libia, dove non è garantita non solo la protezione internazionale ma anche i beni di prima necessità”.
La Moas è stata accusata da una parte della stampa italiana di collusioni con i trafficanti, ma non risulta fra le organizzazioni sotto inchiesta da parte dei magistrati italiani. È stata una delle prime ong, insieme a Save the Children e Sea-Eye, a firmare il codice di condotta del Viminale.
Tutte le foto sono state fornite da Moas, che ringraziamo