Aleppo e il lento ritorno alla "normalità"

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Di Luca Colantoni
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Dopo cinque anni, alcune famiglie provano a ripartire tra le macerie delle loro case

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Non è facile tornare a vivere ad Aleppo. In una città devastata da cinque anni di guerra, la gente del posto cerca in tutte le maniere di tornare ad una parvenza di normalità. Lo fa tra la devastazione delle strade e dei palazzi, prova a farlo nonostante si senta ancora il rumore delle bombe e dell’artiglieria, rumore dovuto all’esercito siriano che continua l’offensiva contro l’autoproclamato Stato Islamico. Le forze di Assad hanno da poco ripreso il controllo di una serie di località e di un tratto autostradale nella parte settentrionale della provincia di Aleppo, finora in mano ai jihadisti. La guerra civile in Siria ha diviso comunità e famiglie, ma non tutti hanno preferito la fuga, vivere come dei rifugiati o neppure provare a ricostruire. Tra questi la famiglia Batash che non si è mai rassegnata ad andarsene dalla terra in cui è nata, stessa terra dove sta pian piano cercando di rinascere di nuovo. “Il primo di mortaio ha colpito il cimitero all’inizio della guerra – dice Heyman Batash – Fu allora che la gente ha cominciato ad avere paura perché non aveva mai sentito colpi di mortaio. La maggior parte delle persone è scappata e anche noi lo abbiamo fatto qualche giorno dopo. Dopo due mesi pero’ siamo tornati. Ci siamo abituati al rumore della guerra”.

Heyman Batash sta cercando di ricostruire la propria vita e quella della sua famiglia nel quartiere di Kalasa, il piu’ bombardato di Aleppo. Suo padre negli anni ottanta aveva costruito cinque case per i suoi cinque figli. Ora è rimasto poco o nulla e insieme a loro vivono solamente altre cinque famiglie. “Usiamo il legno per accendere il fuoco e riscaldarci. Riceviamo anche tanti aiuti – dice Heyam Batash – Ad esempio tutti i giorni ci arriva del pane. Spero che d’ora in poi le nostre condizioni possano solamente migliorare e che finalmente, grazie a Dio, possiamo ottenere una vittoria completa contro questi terroristi affinchè questa terra torni come prima”.

Quella della famiglia Batash è solo una delle tante storie siriane. Loro, come altri, non erano militanti politici, ma all’inizio del conflitto bastava avere un solo parente nell’esercito per finire nel mirino dei ribelli. Ora è tempo di ricostruire. Già ventitré le scuole riaperte, ma anche il primo viaggio del treno metropolitano per Baghdad e il derby di calcio tra l’Al-Ittihad e l’Hurriya nel vecchio stadio nel quartiere di Al-Shahbaa. Tentativi di ricominciare una vita normale.

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