Europa: l'anticamera della Turchia dura da oltre 50 anni

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Nel 1963 Ankara firma un accordo di associazione con l’Unione europea.

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Nel 1963 Ankara firma un accordo di associazione con l’Unione europea.

La Turchia ha da sempre avuto ambizioni filoeuropee.

Ricambiate dall’Unione che vede nella repubblica laica, a metà strada tra il vecchio continente e l’Asia, un grande mercato di 80 milioni di abitanti.

L’avvio dei negoziati per l’adesione arriverà oltre 40 anni dopo, nel 2005, su impulso della Commissione europea. Che, nonostante consigli prudenza, ritiene i tempi maturi.

In seno stesso all’Unione europea, molti stati membri però storcono il naso, l’Austria e la Francia di Nicolas Sarkozy sono in prima linea.

Nel 2013, la violenta repressione di un movimento di contestazione nei confronti di Erdogan da parte dei militari turchi, porta Bruxelles a arrestare i negoziati.

L’allora ministro degli Esteri austriaco,Michael Spindelegger:

“Il comportamento dei militari è discutibile, attendiamo un gesto della Turchia, prima di procedere all’apertura di nuovi capitoli negoziali”.

La questione di Cipro e il rallentamento delle riforme da parte turca portano alla stagnazione del processo. Fino al fallito colpo di Stato dell’estate scorsa.

La deriva autoritaria di Erdogan, in seguito al golpe, che fa un ripulisti nell’esercito e nei vari ministeri, circa 120 mila persone sono sospese dal proprio incarico, porta a un’alzata di scudi da parte europea.

Nail Alkanp per questo analista politico, le motivazioni addotte dall’Unione in verità sono un pretesto per nascondere una realtà ben più scomoda:

“La Turchia non può aderire all’Unione europea vista la forte islamofobia che c‘è in Europa. L’Europa vuole evitare peraltro i vicini scomodi della Turchia, come Iran, Iraq e Siria”.

Eppure un anno prima, sull’onda della crisi dei migranti l’Unione dei 28 aveva stretto un nuovo accordo con Ankara in vista di un rilancio in grande stile dei negoziati di adesione, intesa che prevedeva da parte turca un controllo più imponente delle proprie frontiere, e la gestione di campi profughi sul proprio territorio, in cambio dell’erogazione di 3 miliardi di euro, diventati poi sei, e la liberalizzazione dei visti dei cittadini turchi.

La repressione voluta da Erdogan dopo il fallito golpe non piace a Bruxelles, ma lui non fa un passo indietro, anzi minaccia di sconfessare l’accordo sui migranti e di sottoporre l’adesione europea a referendum.

“Attenderò fino alla fine di quest’anno, poi convocherò un referendum. La sovranità appartiene al popolo. Diamo la parola al popolo”.

Federica Mogherini, capo della diplomazia europea, cerca di riportare il dialogo su binari del confronto:

“Se si chiude il processo di adesione, ne usceremo perdenti entrambi. L’Europa perderebbe un importante canale per dialogare e far leva sulla Turchia. La Turchia perderebbe molto a sua volta”.

Non basta a Ankara che continua a far pressione sugli europei, sventolando la minaccia di voler aderire all’Organizzazione di Shangai per la Cooperazione, organismo intergovernativo creato nel 2001, che porterebbe la Turchia sulla sfera di influenza russa.

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