Yemen: nessuna tregua, infuriano i combattimenti nei pressi di Midi

Yemen: nessuna tregua, infuriano i combattimenti nei pressi di Midi
Di Diego Malcangi
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Nello Yemen non si respira aria di tregua: combattimenti in corso, il governo filo-saudita respinge l'ultimo tentativo di Kerry

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Più di 50 morti in 24 ore possono difficilmente indicare una tregua, e in effetti il governo yemenita in esilio aveva già detto che le sue truppe avrebbero continuato a combattere.

È soprattutto nei dintorni della città portuale di Midi che si spara in queste ore, con le truppe fedeli al presidente Hadi, appoggiate dai bombardamenti della coalizione a guida saudita, che avanzano verso il centro. Almeno una quindicina i morti tra le forze lealiste mentre i ribelli hanno perso almeno 23 uomini, e altri nove sarebbero caduti, secondo fonti militari lealiste, nei pressi di Taëz.

Il presidente Hadi risiede al momento in Arabia Saudita, cacciato nel 2014 dai ribelli Houthi, sciiti, appoggiati dall’Iran. È il suo governo a rifiutare l’accordo per una tregua annunciato appena due giorni fa dal Segretario di Stato degli Stati Uniti, John Kerry, impegnato nella sua ultima iniziativa diplomatica in Medio Oriente.

Il conflitto esploso nel 2014 ha già causato oltre 7.000 morti, 37.000 feriti e una gravissima crisi umanitaria in un Paese che era già tra i più poveri del mondo.

Martedì Kerry aveva detto che “tutte le parti con cui abbiamo parlato sono d’accordo nel dire che non esiste la soluzione militare”, e aveva aggiunto che gli Houthi sarebbero pronti a tornare in un governo “di salvezza nazionale”. Poco dopo il Ministro degli Esteri del governo yemenita in esilio aveva twittato: “il governo non sa nulla dell’accordo”, e aveva poi accusato gli Stati Uniti di voler negoziare bypassando l’esecutivo ufficiale.
Lo stesso governo aveva respinto una proposta di pace delle Nazioni Unite, giudicandola troppo favorevole agli insorti, che al momento controllano buona parte del Paese compresa la capitale.

Il conflitto yemenita viene spesso letto anche nel quadro generale della prova di forza tra potenze sunnite (Arabia Saudita, Turchia, ma con interessi meno convergenti di recente) e l’Iran, principale potenza sunnita considerata all’origine dei “disturbi” recenti in alcuni Paesi del Golfo, come il Bahrein, dove la popolazione maggioritariamente sciita si era sollevata contro la monarchia sunnita. Rivolte finite nel sangue e terminate con l’ingresso delle forze del Consiglio di Cooperazione del Golfo, l’alleanza tra 6 Paesi creata nel 1981, all’epoca della guerra Iran-Iraq.

Prova di forza che ha lungo proiettato la sua ombra anche sul conflitto siriano e in parte sul Libano, dove il recente compromesso per l’elezione del presidente sembra aver aperto uno spiraglio. D’altra parte, molti analisti si interrogano, in particolare dopo l’accordo sul nucleare iraniano, sulla solidità del tradizionale appoggio statunitense all’Arabia saudita. Gli Stati Uniti sembrano aver inferto alcuni colpi a questa tradizionale alleanza, l’ultimo dei quali sarebbe proprio il tentativo negoziale di un John Kerry a fine mandato con gli Houthi yemeniti ed altre parti in conflitto, senza apparentemente consultare il governo filo-saudita ufficiale.

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