Libia: l'intervento militare britannico fu deciso con estrema leggerezza. L'accusa in un rapporto della Commissione esteri

Libia: l'intervento militare britannico fu deciso con estrema leggerezza. L'accusa in un rapporto della Commissione esteri
Di Simona Volta
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Nel 2011 David Cameron decise l’intervento militare in Libia senza essere in possesso delle informazioni necessarie, basandosi su postulati non veri.

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Nel 2011 David Cameron decise l’intervento militare in Libia senza essere in possesso delle informazioni necessarie, basandosi su postulati non veri. Insomma con estrema leggerezza.

La denuncia contro l’ex premier è contenuta in un rapporto della Commissione Esteri britannica. Nel documento si legge che ci furono diversi errori nel processo decisionale che portò all’intervento contro Muammar Gheddafi.

Una storia molto, troppo simile a quella del 2003 quando britannici e statunitensi decisero di far cadere Saddam Hussein, intervenendo in Iraq.

L’allora governo di coalizione, (fra conservatori e liberal-democratici) guidato da Cameron, non verificò se davvero il raìs rappresentasse una minaccia per il popolo libico e non capì che all’interno dei gruppi ribelli era presente anche l’elemento estremista di matrice islamica.

L’ex governo di Londra si è difeso affermando che l’intervento fu il frutto di una decisione internazionale e venne autorizzato dalle Nazioni Unite. L’ex premier non ha voluto testimoniare, altri invece si sono presentati davanti alla Commissione, primo fra tutti Tony Blair.

Nel febbraio 2011 l’ex primo ministro labourista parlò al telefono con Gheddafi
cercando di convincerlo a dimettersi. Secondo il rapporto, Cameron commise l’errore di non provare a sfruttare i contatti di Blair per risolvere pacificamente la situazione.

Per Crispin Blunt, presidente della Commissione, un maggiore sforzo diplomatico avrebbe permesso la protezione dei civili, un cambio al vertice del regime e delle riforme.

Il costo per il Regno Unito sarebbe stato inferiore, così come lo sarebbe stato per i libici visto che, dalla caduta di Gheddafi, nel Paese regna il caos.

Ad oggi la Libia, ricca di petrolio, ha un governo di unità nazionale, che fa capo a Faez al-Sarraj, insediatosi a febbraio a Tripoli e sostenuto dalle Nazioni Unite. Questo esecutivo però non riesce a imporsi sull’intero territorio.

Solo martedì le forze armate che si riconoscono invece nel Parlamento di Tobruk (che ha l’appoggio dell’Egitto e di alcune monarchie del Golfo) e che obbediscono al generale Khalifa Belqasim Haftar hanno conquistato i terminal petroliferi della costa cirenaica (dove viene stoccata la maggior parte dell’oro nero destinata alle esportazioni). Una conquista simbolica, oltre che strategica, visto che può essere letta come il primo atto di guerra tra le due fazioni.

La città di Sirte invece resta nelle mani dell’Isil, che comunque sembra perdere terreno. Qui proseguono incessanti i bombardamenti da parte dell’aviazione statunitense contro il sedicente Stato Islamico. Dal 1° agosto i raid aerei sono stati ben 143.

Il risultato dell’intervento in Libia, si legge nel rapporto, fu il collasso politico ed economico del Paese nordafricano, una guerra tribale, una drammatica crisi umanitaria
e la violazione dei diritti umani su larga scala.

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