Studiare i cambiamenti climatici nelle regioni polari

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Ci troviamo 150 chilometri a nord del Circolo Polare Artico.

Ci troviamo 150 chilometri a nord del Circolo Polare Artico. È la stagione del disgelo, il momento ideale per la ricerca nell’ambiente artico e subartico. Alcuni scienziati per esempio stanno studiando come fiori e insetti impollinatori interagiscano in questo ecosistema così complesso.

Questi biologi hanno una missione. Sono qui per studiare i meccanismi di base usati dalle piante per sopravvivere in questo difficile ecosistema. La varietà dei colori dei fiori rappresenta uno di questi meccanismi. Gli insetti impollinatori infatti sono attratti dai colori dei fiori, ci spiega Hiroshi S: Ishii dell’Università di Toyama: “In altri ambienti estremi, più api o bombi ci sono in giro, più i colori dei fiori si diversificano: viola, rosa, blu e molti altri colori. Se gli impollinatori principali sono solo mosche, per esempio, i colori dei fiori tendono a essere più limitati, principalmente giallo o bianco”.

I ricercatori vogliono capire se lo stesso schema si riproduca qui nella regione subartica.

Gli scienziati studiano l’anatomia degli animali e osservano da vicino anche i colori dei fiori, con una tecnica chiamata “spettrometria ottica”. Perché, continua Ishii, “Tutti i nostri ambienti naturali dipendono in pratica dall’interazione fra piante e impollinatori. Più riusciamo a capire di quest’alleanza naturale, più saremo in grado di proteggere quegli ambienti”.

Le regioni polari, incluse le zone subartiche e subantartiche, sono enormi, e farvi ricerca è costoso. Gli scienziati lavorano in squadra per studiarle meglio. La squadra europea sta approfittando del breve periodo estivo di queste latitudini per studiare anche la densità e la distribuzione della flora e degli insetti. Campagne di ricerca simili sono state fatte nel nord del Canada e in Groenlandia, altre sono in programma nel nord della Siberia. Ma perché interessarsi specificamente a queste zone? Risponde Fredrik Dalerum dell’Università di Stoccolma: “Gli ecosistemi artici sono molto semplici, il che rende molto facile vedere i processi attivi. Se si studiano i cambiamenti climatici nelle foreste boreali o mediterranee, i sistemi sono così complessi che è molto difficile individuare quali processi influenzino quali specie”.

La ragione dell’esistenza di progetti di ricerca europei come EU-PolarNet, o altri a cui la Stazione di ricerca scientifica di Abisko partecipa attivamente, è la necessità di un approccio comune per fare scienza in ambienti ostili come questo. Dice Keith W. Larson, dell’Umoversotà di Umea: “Abbiamo un ricercatore danese e uno olandese che lavorano qui alla Stazione di ricerca, e che hanno progetti in Alaska, per esempio, o in Groenlandia, o in Siberia, dove replicano le cose che facciamo qui per vedere se i risultati sono simili, in modo da poter dire che quel che sta accadendo qui è davvero rappresentativo di quel che sta accadendo nelle regioni subartiche”.

Sotto esame multidisciplinare sono anche le paludi situate mezzo metro sopra lo strato sotterraneo di permafrost. I ricercatori analizzano i gas – Co2, metano e vapore acqueo – per misurare la quantità di carbonio assorbita da questo tipo di ambiente e capire quali siano le implicazioni per l’intero ecosistema circostante. Perché spiega il biochimico Patrick Crill, “Nella regione artica le temperature stanno aumentando più rapidamente. Ci sono cambiamenti nell’idrologia, nelle stagioni della crescita, nelle strutture delle comunità vegetali. Abbiamo quindi davvero bisogno di studiare queste cose per poter capire quali potrebbero essere i contributi umani a tali cambiamenti”.

I flussi dei gas di queste paludi vengono studiati da oltre un decennio. Per il futuro i ricercatori auspicano una maggiore cooperazione multidisciplinare per ottenere dati ancora più significativi.

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