Brexit: Articolo 50, Londra temporeggia

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È Gordon Brown il premier britannico che nel dicembre 2007 firmò, con gli altri leader europei dell’epoca, il Trattato di Lisbona, inclusa la relativa clausola di recesso, l’Articolo…

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È Gordon Brown il premier britannico che nel dicembre 2007 firmò, con gli altri leader europei dell’epoca, il Trattato di Lisbona, inclusa la relativa clausola di recesso, l’Articolo 50. Articolo che stabilisce un massimo di due anni per mettersi d’accordo sui termini del divorzio. Alla scadenza dei due anni, se i negoziati non sono conclusi, i trattati siglati con l’Unione decadono.

Al momento il governo britannico prende tempo. Venerdì scorso David Cameron ha delegato il compito di invocare l’Articolo 50 al suo successore, che non conosceremo però prima di ottobre: “Le trattative con l’Unione europea dovranno cominciare con il nuovo primo ministro, – ha detto – e penso sia giusto che sia questo nuovo primo ministro a decidere quando invocare l’Articolo 50 e avviare il processo formale e legale di lasciare l’Unione europea”.

Ma anche il probabile successore di Cameron, l’impetuoso Boris Johnson, in prima linea nella promozione del “leave” nel partito conservatore, preferisce frenare gli entusiasmi: “È fondamentale sottolineare che ora che abbiamo votato per la separazione dall’Unione europea non c‘è bisogno di avere fretta. E come ha giustamente detto il primo ministro, non c‘è bisogno di invocare l’Articolo 50”.

Londra non vuole rischiare di trovarsi in debito d’ossigeno, e preferirebbe poter negoziare i termini del divorzio prima di far scattare la clausola di recessione. Come ha fatto capire il ministro delle finanze, George Osborne: “Solo il Regno Unito può far scattare l’Articolo 50. E a mio giudizio, dovremmo farlo solo una volta che ci sarà una prospettiva chiara su quali nuovi accordi ci aspettiamo dai nostri vicini europei”.

Ma i vicini europei non vedono le cose dallo stesso punto di vista. Subito dopo la diffusione dei risultati del referendum il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker ha dichiarato: “Ora ci aspettiamo che il governo del Regno Unito dia seguito alla decisione del popolo britannico nel più breve tempo possibile, per quanto doloroso questo processo possa essere”.

Ma poiché nessun paese o istituzione può imporre l’Articolo 50 a Londra, gli altri 27 Stati membri possono solo fare pressione. Così il ministro degli esteri lussemburghese Jean Asselborn ha auspicato: “Spero che non avremo una situazione in cui Londra si mette a giocare al gatto e al topo. Abbiamo bisogno di chiarezza, il popolo ha parlato e abbiamo il dovere di mettere in pratica questa decisione”. E il suo omologo olandese Bert Koenders ha affermato: “Gli europei hanno bisogno di vedere risultati, penso che questo sia fondamentale. Dobbiamo voltare pagina, non vogliamo si crei un vuoto, i negoziati con il Regno Unito devono iniziare in buona fede, ma il prima possibile”.

L’obiettivo per i Ventisette è di evitare l’effetto valanga innescato dalla Brexit. Figure come Marine Le Pen in Francia o Geert Wilders nei Paesi Bassi stanno facendo pressione perché si tengano referendum analoghi nei rispettivi paesi.

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