Elezioni spagnole. Partita a quattro

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Sei mesi dopo le elezioni legislative del 20 dicembre gli spagnoli tornano alle urne questa domenica.

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Sei mesi dopo le elezioni legislative del 20 dicembre gli spagnoli tornano alle urne questa domenica. I sondaggi però pronosticano un parlamento frastagliato dove nessuno potrà governare da solo. I candidati dei quattro grandi partiti hanno promesso che non ci sarà un’altra elezione dopo di questa. Nessuno però dice in che modo si possa evitare questa eventualità.

I popolari del premier Mariano Rajoy dovrebbero ottenere di nuovo la maggioranza senza però poter governare da soli. Rajoy continua a dire che secondo lui è il partito più votato che dovrebbe governare, ma è isolato soprattutto dopo il recente scandalo che ha coinvolto il ministro dell’interno Jorge Fernandez Diaz, quest’ultimo avrebbe manipulato la giustizia per screditare gli indipendentisti catalani.

I sondaggi annunciano che la seconda posizione è nelle mani di Unidos Podemos coalizione di comunisti, indipendentisti e di Podemos, partito anti-austerità che punterebbe a conquistare fra gli 84 e i 95 seggi, rispetto ai 69 attuali. Pablo Iglesias si presenta come la sola alternativa a Rajoy, e per questo chiede il sostegno dei socialisti del PSOE.

Uno scenario che il candidato socialista Pedro Sanchez non si augura. Il Psoe non vuole essere portatore d’acqua di un partito come Podemos che ha drenato consensi dai socialisti. I sondaggi gli danno fra i 78 e gli 85 seggi rispetto ai 90 attuali. Sanchez rifiuta però il referendum di autodeterminazione della Catalogna.

Quarto attore è Ciudadanos, formazione liberale di destra guidata da Albert Rivera. Dovrebbe raccogliere sui 40 seggi non discostandosi dal peso attuale. Rivera avrebbe appoggiato il PSOE e le sue posizioni più moderate, ma la candidatura di Pedro Sanchez non ha avuto troppo fortuna. Adesso Rivera auspica una grande coalizione fra PP e Psoe, ma senza Rajoy alla testa del governo.

Isidro Murga, euronews:

-Per parlare delle elezioni spagnole, che si tengono questa domenica, in collegamento con noi, Lluís Orriols, ordinario all’Università Carlos III di Madrid.

Le elezioni di dicembre hanno messo fine al bipartitismo, in Spagna, ma non sono riuscite a dare un governo al Paese. Oggi potrebbe ripetersi la stessa cosa o c‘è stata una schiarita nel panorama politico spagnolo?

-Se i pronostici vengono rispettati, non ci sarà una maggioranza di sinistra, che dipende dai voti dei nazionalisti, e non ci sarà neppure una maggioranza di destra. Ci troviamo di fronte a una situazione difficile, uno scenario comunque più facile rispetto a quello precedente. Nel senso che uno dei patti possibili allora, oggi non esiste più: intendo lo scenario che prevedeva il governo del cambiamento, guidato dai socialisti, con i nuovi partiti, Ciudadanos e Podemos, (uno scenario questo che può essere già scartato).
Quindi avremo o una grande coalizione o un governo di sinistra con i nazionalisti.

-Stando ai sondaggi ci sarà una vittoria, ma senza maggioranza, dei popolari cosa che renderà difficile formare un governo. Al rifiuto degli altri partiti di appoggiare Rajoy si aggiunge lo scandalo sulle manovre del ministro dell’Interno contro gli indipendentisti. Cosa può fare il PP?

“Il Pp si troverà comunque uno scenario più gestibile rispetto a quello di dicembre. Perché, se è vero che non riuscirà a avere una maggioranza parlamentare, neanche con Ciudadanos, è vero anche che questa volta potrebbe accadere qualcosa che in dicembre era impossibile: si tratterebbe della grande coalizione o almeno di un patto tra Pp e Psoe perché i popolari possano governare. È vero che ieri è uscita la notizia di questo scandalo, che può essere un elemento perturbatore, ma non penso che cambierà il risultato di domenica.
Sarà complicato per i popolari, ma non più di quanto lo fosse in dicembre”.

-Quale sarà il prezzo da pagare per il Pp per scendere a patti con gli altri partiti?

“È una delle grandi incognite del dopo le elezioni: sapere se il Pp è disposto per esempio a rinunciare a un suo candidato per facilitare l’alleanza con il partito socialista. L’incognita è rappresentata dai limiti di negoziato del Pp”.

-Quali sono gli altri possibili scenari?

“Ci sono due opzioni. Un’alleanza tra Pp-Psoe, nella forma di grande coalizione o come appoggio esterno; o una coalizione di sinistre, che al momento sembra aver bisogno del sostegno delle formazioni nazionaliste.
E quest’ultimo scenario risulta essere più difficile per due ragioni: in primo luogo perché alcune formazioni nazionaliste che dovevano far parte di questa aritmetica parlamentare sono partiti che spingono per la rottura dalla Spagna, cosa difficile da digerire per i socialisti; la seconda è che Podemos potrebbe superare i socialisti, un eventuale sorpasso porterebbe alla fine del patto tra Podemos e Psoe”.

-Oltre alla disoccupazione, la corruzione e le tensioni indipendentiste, il prossimo governo dovrà lottare contro le misure di austerità volute da Bruxelles. Può ripetersi in Spagna quanto è accaduto in Grecia?

“La Grecia effettivamente è uno specchio per gli spagnoli da anni, perché le cose accadute in Grecia si sono poi verificate qui, mesi o anni dopo.
È possibile che un governo ostile verso l’Unione europea debba accettare, almeno nel breve periodo, le regole. Un giorno forse altri governi euroscettici finiranno per essere maggioritari in seno all’Unione, ma non è il caso nel breve termine.
Per cui è probabile che le promesse elettorali vengano presto dimenticate di fronte alle regole imposte da Bruxelles”.

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