Immigrazione, il Texas soffia sul timore: le reazioni dei rifugiati

Immigrazione, il Texas soffia sul timore: le reazioni dei rifugiati
Di Valerie Zabriskie Agenzie:  Michela Monte
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Negli ultimi 5 anni, il Texas ha accolto 42 mila rifugiati. Più di ogni altro Stato nel Paese.

Siamo a Houston, Texas. È la seconda città più mista degli Stati Uniti. La prima per il numero di rifugiati, sono arrivati da ogni parte del mondo: dal Vietnam alla Birmania, dall’Afghanistan all’Iraq. E più recentemente dalla Siria. Alcuni di loro sono aiutati in questo nuovo inizio.

Abbiamo incontrato una famiglia siriana: Maher Jandari è una dei 125 siriani che si sono stabiliti a Huston dall’inizio della guerra. È arrivato con sua moglie e 5 bambini un anno fa.

“Me ne sono andato per i problemi di ogni giorno. racconta, la situazione in Siria era davvero difficile. Tutti uccidevano tutti non capivo più cosa stesse succedendo. E accaduto anche a me, mi hanno spinto in un angolo, volevano uccidermi”.

euronews: “Volevi venire negli Stati Uniti o volevi andare in qualche paese in Europa?”

“Sì volevo venire qui, c‘è calma psicologica nonostante la barriera linguistica e le differenze culturali. Sto bene qui perché mi sento in salvo e non ho una sensazione del genere in nessun Paese arabo”.

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Negli ultimi 5 anni, il Texas ha accolto 42 mila rifugiati. Più di ogni altro Stato nel Paese. Dopo gli attacchi terroristici a Parigi nel Novembre scorso, il governatore del Texas ha scritto una lettera al presidente Obama affermando che lo Stato non avrebbe più accettato alcun rifugiato siriano. Ma la sua decisione è stata riconosciuta inapplicabile visto che vale la legge federale sui rifugiati del 1980.

E il Texas non è l’unico Stato ad avere invocato lo stop.
Dopo ulteriori attacchi terroristici in California e a Bruxelles, Donald Trump ha acceso la miccia della contestazione cavalcando le statistiche.

“E poi tutte queste persone che vogliono fare arrivare dalla Siria, stiamo finanziando programmi per i visti. No, pensateci bene. Non sappiamo chi sono queste persone e da dove vengono. Sono giovani, sono forti, ci sono molti uomini tra loro, se ci pensiamo bene potrebbero rappresentare un cavallo di Troia”.

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Ali Al Sudani è un rifugiato che è arrivato a Huston nel 2009. Oggi è il direttore del Centro servizi per i rifugiati al ministero interrereligioso ed è cittadino statunitense. Crede che chi la pensa come Trump in fatto di rifugiati si stia sbagliando.

euronews: “Abbiamo visto come Huston sia accogliente verso i rifugiati, ma c‘è un senso di paura creato da certi politici per non fare arrivare altri rifugiati. Perché?”

Ali Al Sudani: “Penso che quel genere di affermazioni siano ridicole. Se i terroristi o i gruppi radicali vogliono penetrare nel sistema, questa non è certo la modalità più veloce negli Stati Uniti o in Europa, o in altri paesi. Posso fare domanda per rientrare nel programma di assistenza per i rifugiati dell’Onu, ma non ci sono garanzie che sarai ammesso. I rifugiati sono sottoposti agli esami più rigorosi, più di ogni normale viaggiatore, per arrivare negli Stati Uniti”.

Il procedimento di esame dei rifugiati è rigoroso come lo è il sostegno all’inserimento quando arrivano, che prevede fornire un’abitazione, la scuola, l’assistenza nella ricerca di un lavoro. Le donne afgane che abbiamo stanno ad esempio seguendo una lezione d’inglese.

Insegnante: “Penso sia molto importante per loro sistemarsi per cominciare una nuova vita. Molti di questi studenti non sono mai stati a scuola. E questa potrebbe essere l’unica possibilità che hanno di avere un’educazione ed è fantastico che possiamo offrirgliela”

Questo è l’“Afghan Village”, un ristorante di Huston.
Alcuni dei suoi impiegati sono rifugiati, esattamente come il proprietario che è arrivato 17 anni fa.

Omer Yousafzai è afgano ha fatto la scuola dell’obbligo a Huston e ha lavorato per un centro servizi per rifugiati prima di aprire questo ristorante.

“Non conosce la discriminazione” – dice- e punta il dito contro i media di destra e contro i politici che soffiano su un fuoco troppo facile da accendere:

“Sono musulmano, amo questo Paese. Ho lavorato per il governo e lo farei ancora se mi chiedessero aiuto, ne sarei contento. Ma se i musulmani vengono discriminati perché sono un pericolo … se io lo fossi non saresti qui di fronte a me … Ci sono centinai, migliaia di musulmani in questa città. Solo nella comunità pakistana sono centinaia di migliaia. Se fossero gente pericolosa ci sarebbe un problema ogni minuto, ogni ora”.

A Maher, come ai rifugiati che si sono stabiliti a Huston prima di lui, la città offre un porto sicuro al riparo dalla tempesta politica che si è abbattuta sull’immigrazione.
Maher è grato a Huston per avergli aperto le porte del sogno americano. Si augura solo che il messaggio possa essere più chiaro: nessun rifugiato lascia il proprio paese per scelta.

“In tutte le nazionalità del mondo ci sono dei terroristi- afferma Maher – Alcuni contro, alcuni per il regime. Il mondo intero ha partecipato alla distruzione della Siria. Non è accettabile che basti un incidente negli Stati Uniti, un’esplosione in Germania, per dire che dietro ci sia un siriano. Certo che no, i siriani sono diventati il capro espiatorio per il mondo intero”.

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