Le elezioni in Iran hanno dato un risultato apparentemente sorprendente, tra il primo turno di febbraio e il secondo che si è celebrato la scorsa
Le elezioni in Iran hanno dato un risultato apparentemente sorprendente, tra il primo turno di febbraio e il secondo che si è celebrato la scorsa settimana con un’affluenza-record del 59%.
È netta la vittoria dei riformisti sugli ultra-conservatori, ma nello stesso tempo questa è una lettura un po’ troppo semplice, in un Paese dalla notevole complessità e non solo per il suo sistema democratico.
Tutte le contraddizioni della società
Quella iraniana è una società giovane: quasi il 70% della popolazione ha meno di quarant’anni. Ed è una società dal livello di istruzione piuttosto alto, donne comprese (è donna il 60% degli studenti universitari, e molte lavorano).
L’apertura al mondo è proseguita nonostante le sanzioni, sollevate ora dopo il recente accordo sul nucleare.
Internet e media internazionali, anche quando formalmente proibiti, vengono in realtà seguiti in modo abbastanza diffuso.
Le donne sono tra l’altro state protagonista delle manifestazioni più recenti, e lo sono stante anche in queste elezioni.
È da record il numero delle parlamentari elette – 14 al primo turno, cui se ne sono aggiunte altre 4 -.
Ma è anche tutta particolare la vicenda di Minou Khaleghi, eletta a furor di popolo nel distretto di Isfahan per poi essere sospesa dai Guardiani della Rivoluzione, e nemmeno autorizzata ad entrare in Parlamento, senza una motivazione ufficiale.
Sono poi apparse delle fotografie che ritraggono una donna velata – forse lei, forse no – nell’atto di stringere la mano a un uomo, in qualche Paese occidentale. Atto contrario al codice islamico.
L’eletta smentisce, dice di non essere lei nelle foto e annuncia ricorso, ma per ora resta sospesa.
Il Presidente Rohani ha poi detto che spetta al Parlamento, e a nessun altro, decidere chi abbia diritto al propri seggio e chi no.
E questo è il nuovo Parlamento:
Qui potete anche rileggere un’analisi su come funziona il sistema politico iraniano.
2016 anno del cambiamento, dunque, con un chiaro voto a favore dei riformisti. Ma tutto questo va relativizzato, per due ragioni.
La prima è che il riformismo iraniano, anche il più estremo, non è lontanamente comparabile per tematiche al riformismo nostrano – in Occidente passa il matrimonio per tutti, in Iran le donne devono ancora chiedere al marito il permesso per avere un passaporto -.
La seconda è che il quadro politico iraniano è estremamente fluido. I cambi di casacca sono non solo estremamente frequenti – come in alcuni Parlamenti occidentali – ma sono anche normali.
Basti pensare che è perfettamente legale essere candidati in liste rivali, nello stesso tempo. E ci sono effettivamente candidati che hanno corso contemporaneamente in una lista conservatrice e in una riformatrice, così come c‘è chi era candidato conservatore al primo turno ed è poi divenuto candidato riformista al ballottaggio, contro un conservatore più radicale.
A questo quadro già difficilmente misurabile si aggiungono gli indipendenti – un’ottantina, nel nuovo Majlis – che possono appoggiare gli uni o gli altri, anche alternativamente.