Chernobyl: la risposta medica è stata adeguata?

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Fidel Pavlenko, euronews: -Con noi in collegamento da Los Angeles, Robert Gale, uno dei maggiori esperti di radiazioni e salute che ha coordinato

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Fidel Pavlenko, euronews:

-Con noi in collegamento da Los Angeles, Robert Gale, uno dei maggiori esperti di radiazioni e salute che ha coordinato operazioni mediche dopo molti incidenti tra gli altri Chernobyl e Fukushima.
Quando arrivò nell’Unione Sovietica, qualche giorno dopo l’esplosione, incontrò i vertici del Paese, tra gli altri Mikhail Gorbachev. Ha avuto tutte le informazioni allora disponibili sulle dimensioni del disastro, perché la maggior parte della gente in Ucraina e fuori è stata tenuta all’oscuro.

Robert Gale:

“Ho capito la situazione piuttosto in fretta, ma appena arrivato tutta la mia attenzione è andata alle persone colpite trasferite negli ospedali di Mosca. Una volta arrivato, qualche giorno dopo, in Ucraina tutto è stato più chiaro”.

-Qual è stata la sua valutazione riguardo la risposta medica alla popolazione colpita? È stata adeguata?

“Avremmo potuto fare meglio, l’evacuazione di Pryryat è stata fatta in tempi rapidi, è stato un bene.
L’evacuazione in altre aree è stata ritardata. Un altro problema serio è stato non poter mettere in quarantena il cibo che avevamo e non potevamo distribuire tavolette di iodio, per cui ci siamo ritrovati con un numero esagerato, diverse migliaia di giovani che hanno sviluppato il cancro alla tiroide. Lezioni imparata e che ci è servita per Fukushima”.

- Mesi dopo, quando ancora molta gente cercava di lasciare questi posti, o per lo meno cercava di allontanare i bambini, lei arrivò a Kiev, con moglie e figli quasi a mostrare che il luogo era sicuro.
Probabilmente si poteva restare qualche giorno senza correre pericolo, ma non è stato il caso per gli abitanti della zona?

“Andare in Ucraina con la mia famiglia rispondeva all’esigenza di evitare evacuazioni non pianificate e stazioni e treni sovraffollati. E al contrario fare le giuste pianificazioni evitando altre catastrofi.
È quello che abbiamo cercato di fare, trasferimenti ragionevoli, facendo in modo che la gente avesse accesso ai trattamenti medici del caso”.

- Sono 31 le vittime legate direttamente alle radiazioni della catastrofe nucleare. Può farci una stima sul lungo periodo del potenziale numero di vittime che una catastrofe simile può provocare?

“Se ci focalizziamo solo sugli effetti delle radiazioni e non su altro, voglio dire trasferimenti e problemi psicologici connessi – ci sono due diversi approcci: uno è calcolare un rischio contenuto delle radiazioni moltiplicato per milioni di persone e si stima che avremo 12 mila casi di cancro in 70 anni. Bisogna considerare che ciascuno di noi ha circa un 50% di probabilità di sviluppare un cancro, per cui le persone che sono entrate in contatto con radiazioni hanno sì più probabilità, ma pari appena al 50,1%.
Non sapremo mai esattamente, perché questo aumento, che è piccolissimo, non sarà rilevabile, a eccezione per i 100 mila operai che lavorarono per mettere in sicurezza la centrale”.

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