Ruanda, a 22 anni dal genocidio le ferite ancora aperte

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Di Andrea Neri
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7 aprile 1994: 22 anni fa cominciava in Ruanda la carneficina sistematica e pianificata di oltre 800.000 persone, nella stragrande maggioranza Tutsi

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7 aprile 1994: 22 anni fa cominciava in Ruanda la carneficina sistematica e pianificata di oltre 800.000 persone, nella stragrande maggioranza Tutsi, ma anche moderati della maggioranza Hutu.

Un genocidio portato a termine in appena 100 giorni, 4 mesi. Un genocidio consumato mentre la comunità internazionale voltava gli occhi da una parte. Il massacro cominciò dopo l’attentato all’aeroporto di Kigali in cui morì il Presidente ruandese Juvenal Habyarimana, un hutu.

Era il 4 aprile 1994: un razzo colpisce il Falcon su sta viaggiando, di ritorno da un vertice di capi di Stato in Tanzania. L’equipaggio è tutto francese, a bordo c‘è anche il Presidente del Burundi Ntaryamira.

“Un genocidio non avviene dal giorno alla notte” dice Adama Dieng, Sottosegretario Generale delle Nazioni Unite per la prevenzione dei genocidi. “Il genocidio implica un processo. Ci vuole del tempo, ci vogliono delle risorse, ci vuole una pianificazione e quello che sappiamo è che un genocidio è sempre preceduto da gravi violazioni dei diritti umani. Dobbiamo investire di più per ricordare ai leader il loro ruolo nella gestione della diversità in maniera più costruttiva” ha detto Dieng.

Allora le Nazioni Unite di Boutros Boutros-Ghali evacuarno i caschi blu, dopo l’uccisione di 10 militari del Belgio. Il Trimbunale Penale Internazionale per il Ruanda (Tpir) ha chiuso i battenti a fine 2015: dal 1994, in 21 anni di lavori, ha emesso 61 condanne, 14 assoluzioni; 8 persone sono tutt’ora ricercate per crimini contro l’umanità.

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