Giappone: i villaggi post-Fukushima, un deserto ancora cinque anni dopo

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Fukushima cinque anni dopo non è cosa da celebrare: non è, o non ancora, la storia di un successo. I sacchi neri pieni di detriti campeggiano

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Fukushima cinque anni dopo non è cosa da celebrare: non è, o non ancora, la storia di un successo. I sacchi neri pieni di detriti campeggiano all’ingresso anche dei pochissimi villaggi che hanno iniziato a ripopolarsi, nella fascia di venti km intorno alla centrale. Cinquanta milioni di persone furono costrette a partire, nel settembre scorso alcuni centri sono stati riaperti, a partire da Naraha, che contava ottomila abitanti. Ne sono rientrati solo poco più di 400, in gran parte anziani.

Tra di loro, questo monaco buddista:
“Io sapevo che tornando avrei solo potuto assistere alla morte di questa regione e di questa località. È diventato un ambiente in cui la gente non potrà mai più vivere in modo sicuro e confortevole”.

18.000 le vittime dirette o indirette del disastro dell’11 marzo del 2011.
Accusati di negligenza, vanno ora a processo l’ex presidente e i due ex vice-presidenti della Tepco, la società che gestiva le centrali nucleari.
La stessa Tepco, secondo Greeenpeace, ha prodotto quasi un milione e mezzo di tonnellate di acqua radioattiva, nel tentativo di raffreddare centinaia di tonnellate di combustibile del reattore fuso. E sulla nave ambientalista che sta verificando la radioattività dell’Oceano nei venti km intorno alla centrale c‘è anche l’ex premier, Naoto Kan, che gestì l’emergenza all’epoca e si è poi convertito in fervente anti-nuclearista.

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