Turchia: la vittoria di Davutoglu

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Di Euronews
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A dispetto di tutti i pronostici, Ahmet Davutoglu ha vinto la sua scommessa. E a Konya, la città dell’Anatolia religiosa e conservatrice in cui è

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A dispetto di tutti i pronostici, Ahmet Davutoglu ha vinto la sua scommessa. E a Konya, la città dell’Anatolia religiosa e conservatrice in cui è nato nel febbraio 1956, ha festeggiato davanti ai suoi sostenitori senza strafare e con parole misurate.

“Oggi è il giorno della modestia, la vittoria è quella della nostra nazione – ha dichiarato -. Spero che saremo al vostro servizio per 4 anni e che saremo qui ancora nel 2019. Possa Dio proteggerci tutti dalla vergogna. Possa Dio proteggervi dal male.”

Incapace di formare una coalizione con l’opposizione dopo le elezioni di giugno, colui che i detrattori considerano una “marionetta di Erdogan” è stato costretto a una sorta di secondo turno, con la missione di riconquistare la maggioranza assoluta.

Il suo percorso si è svolto all’ombra del presidente, ma Erdogan in questa campagna è stato meno presente e gli ha lasciato più spazio. E lui ha evitato di citare nei suoi discorsi la prospettiva di una riforma presidenzialista, che aveva forse spaventato l’elettorato contribuendo al calo dell’AKP nella precedente consultazione.

Dopo 5 anni come ministro degli esteri, Davotuglu è stato lanciato nel 2014 alla testa del Partito Giustizia e Sviluppo da Erdogan, col quale condivide una visione della Turchia come potenza islamica regionale.

Riconquistando la maggioranza assoluta, il premier guadagna prestigio come leader politico e rafforza il potere del presidente. Ma per alcuni analisti non c‘è da cantare vittoria.

“Se anche Erdogan abbandonerà i suoi sogni di un nuovo regime, di un regime presidenzialista senza controlli né contrappesi – osserva il prof. Cengiz Aktar, docente all’Università di Bahcesehir – come affronterà la questione curda, e come approccerà i problemi economici? Perché la Turchia è alla frutta.”

Dopo la vittoria, il premier dovrà occuparsi anche di altre questioni irrisolte, come la politica nei confronti della Siria e l’infiltrazione di jiadisti del sedicente Stato Islamico nella società turca.

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