Al lavoro come in un reality show? Ad Amazon bisogna "nominare" i colleghi da eliminare

Al lavoro come in un reality show? Ad Amazon bisogna "nominare" i colleghi da eliminare
Di Eri Garuti
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Secondo un'inchiesta del New York Times, per non essere licenziati nel colosso delle vendite online bisogna indicare i colleghi meno efficienti, lavorare 80 ore la settimana e rispondere alle email an

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Fino a che punto un ambiente di lavoro competitivo può stimolare la produttività? Dove terminano le richieste legittime di un datore di lavoro e comincia il mobbing? E quando la concorrenza tra colleghi sconfina nella scorrettezza?

Sono domande che ci si pone leggendo la lunga inchiesta pubblicata dal
New York Times sulle pratiche lavorative in vigore presso Amazon.

I dipendenti sono classificati anche in base ai commenti dei colleghi e chi alla fine dell’anno si trova in coda all’elenco viene licenziato.

In questo clima, la delazione di comportamenti meno che ideali è incoraggiata, anzi è resa più diretta da un apposito widget, chiamato Anytime Feedback Tool.

A volte i dipendenti sono “più realisti del re”, come ha potuto constatare Elizabeth Willet, un ex capitano dell’esercito reduce dall’Iraq, che dopo essere approdata ad Amazon e aver avuto un bambino aveva concordato di poter lavorare tra le 7 e le 16.30 per poi tornare al computer da casa. Ciò non costituiva un problema per il suo capufficio, ma i colleghi avevano dato feedback negativi su di lei solo perché la vedevano allontanarsi presto nel pomeriggio.

Il principio delle eliminazioni finisce per creare, come avviene nei reality show, quel meccanismo perverso in base al quale gruppi di lavoratori si mettono d’accordo per mettere in cattiva luce la stessa persona.

“Ho visto quasi tutti i colleghi piangere almeno una volta sulla loro scrivania” racconta un ex dipendente che ha resistito meno di due anni nell’azienda.
Per lavorare 80 ore la settimana e rispondere alle email anche dopo mezzanotte.

L’articolo del quotidiano statunitense demolisce il colosso delle vendite online (che peraltro è guidato da Jeff Bezos, proprietario del giornale concorrente, il Washington Post).

Il NYT riporta casi di dipendenti penalizzati per questioni di salute o per il fatto di volere un figlio.
Una donna che aveva appena subìto un aborto spontaneo è stata obbligata a partire per un viaggio di lavoro il giorno dopo. Un’altra, in cura per un tumore al seno, si è vista recapitare una nota che le chiedeva di migliorare le sue prestazioni per non perdere il posto.

Se Google e Facebook sono noti per motivare i dipendenti con premi e benefit, come pasti e ore di palestra, Amazon invita a uno stile spartano (scrivanie senza fronzoli, spese di viaggio e telefono pagate dagli dipendenti, niente buoni-pasto) e l’unica concessione sul luogo di lavoro è la possibilità di portarsi il cane.

Bezos replica, in una
nota interna ai dipendenti: “Non riconosco l’azienda in quella descritta dal NYT e ci invito a segnalarmi episodi di questo tipo, se mai dovessero accadere.” Chissà se qualcuno si azzarderà a farlo. E, in tal caso, chissà se conserverà il suo posto di lavoro.

Per Bezos, le persone assunte ad Amazon “sono le migliori tra le migliori. Persone cercate dalle migliori aziende del pianeta e che possono lavorare in qualsiasi posto vogliano.”

Bene a sapersi. Chi dovesse fare le spese della prossima “purga” annuale, potrà cercare lavoro altrove. Magari (guardando la classifica di Forbes ) in una delle 10 aziende migliori in cui lavorare.

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