Iran: le principali tappe del negoziato

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I primi dubbi sulla natura del programma nucleare iraniano sorgono nel 2002, quando si scopre che Teheran sta costruendo un impianto di arricchimento

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I primi dubbi sulla natura del programma nucleare iraniano sorgono nel 2002, quando si scopre che Teheran sta costruendo un impianto di arricchimento dell’uranio a Natanz e un reattore ad acqua pesante ad Arak. Entrambe le strutture possono produrre combustibile nucleare.

Nel 2003 Teheran accetta le ispezioni dell’Aiea, l’Agenzia per l’Energia atomica dell’Onu.
Il 31 ottobre dello stesso anno, in un primo accordo con tre ministri degli Esteri europei, Teheran dice sì alla sospensione delle attività di arricchimento dell’uranio.

Nel 2004, il presidente iraniano, Mohammad Khatami insieme al capo dell’Aiea elabora una road map per mettere fine al contenzioso. Ma i negoziati per una soluzione definitiva stagnano perché gli Stati Uniti si oppongono a ogni accordo che non preveda la fine delle attività di arricchimento.

Nell’agosto del 2005, Teheran rompe l’accordo con l’Unione europea e riprende l’arricchimento dell’uranio nella centrale di Isfahan. Francia, Germania e Regno Unito minacciano di portare il caso alle Nazioni Unite.

Quando nel 2005 arriva al potere, Mahmoud Ahmadinejad apre una nuova fase di forte contrapposizione.

Il 24 settembre, l’Aiea porta il caso Iran al Consiglio di sicurezza dell’Onu.

Il neo presidente annuncia, nell’aprile del 2006, che l’Iran è diventata una potenza nucleare.
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu chiede di bloccare l’arricchimento dell’uranio entro la fine del mese, Teheran rifiuta.

A dicembre, il Consiglio di Sicurezza con la risoluzione 1737 blocca la vendita di tecnologia che potrebbe essere usata da Teheran per lo sviluppo del suo programma nucleare.

Seguono cinque anni di empasse che portano a inasprire le sanzioni contro la Repubblica islamica.

Nel 2010 Ahmadinejad prevede l’arricchimento dell’uranio al 20% e due anni dopo gli ispettori Onu constatano che il regime dispone di circa 110 chili d’uranio arricchito, ossia la metà di quella necessaria per costruire l’atomica.

La vittoria alle presidenziali iraniane del 2013 del moderato Hassan Rohani apre la strada a una soluzione diplomatica della crisi.

Rohani è più pragmatico rispetto ad Ahmadinejad e sembra disposto a negoziare. A settembre, Rohani è a New York per l’assemblea generale dell’Onu. Prima di lasciare gli Stati Uniti è raggiunto telefonicamente da Obama.
Si tratta di una telefonata storica, come afferma il presidente americano.

È il primo contatto tra i leader degli Stati Uniti e dell’Iran dal 1979.

Barack Obama:

“Si tratta della prima conversazione tra un presidente americano e un presidente iraniano dal 1979, fatto che indica inoltre la volontà di superare le difficoltà”.

Nel novembre del 2013, l’Iran e il gruppo di negoziatori internazionali firmano un accordo provvisorio, noto come ‘Piano d’azione comune.

Che porta a una parziale revoca delle sanzioni contro la Repubblica islamica.

I termini per trasformare l’accordo provvisorio in intesa definitiva scadono una prima volta nel luglio del 2014 e poi nel novembre scorso.

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Il due aprile 2015 a Losanna sono fissati i termini di un accordo definitivo.
La scadenza del negoziato viene fissata al 30 giugno e poi prorogata, fino all’annuncio odierno.

Hossein Alavi, euronews:

-Sadegh Zibakalam, professore all’Università di Teheran è con noi per commentare l’intesa sul nucleare iraniano.
Dopo oltre 12 anni di vicissitudini negoziali l’Iran e i 5+1 hanno raggiunto un accordo storico. Questo porterà alla reintegrazione dell’Iran nella Comunità internazionale e alla normalizzazione delle sue relazione con gli Usa?

Sadegh Zibakalam, docente universitario:

“L’aspetto più importante dell’accordo raggiunto il 14 luglio del 2015 è proprio questo: le generazioni future ricorderanno questa data come fondamentale nella storia della rivoluzione Iraniana, come il momento di riconciliazione con il mondo, con l’Europa e con gli Stati Uniti. Momento in cui la Repubblica islamica ha preso le distanze dal radicalismo rivoluzionario che vede nelle altre nazioni e culture solo nemici da abbattere”.

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-Molti iraniani hanno atteso a lungo quest’accordo e lo salutano con entusiasmo sperando nella revoca delle sanzioni.
Cambiando la situazione, Hassan Rouhani sarà in grado di mantenere le promesse politiche e economiche?

-Per i più giovani e le generazioni che sono arrivate dopo la rivoluzione, l’impatto economico delle sanzioni è stato meno rilevante rispetto alle attese per la normalizzazione dei rapporti tra Iran e Occidente. Le nuove generazioni hanno aspetttaive diverse che potrebbero realizzarsi e questo aiuterebbe enormemente il governo di Rouhani. Un governo che è stato in grado
di riportare la pace, il sorriso tra l’Iran e il resto del mondo”.

-Molti analisti e esperti, lei stesso d’altra parte, vi siete interrogati sul valore economico dell’uranio arricchito per il Paese.
Le chiedo, l’Iran ha veramente tratto vantaggio dai miliardi di dollari investiti nel nucleare?

“La stessa domanda può essere fatta per molte altre politiche portate avanti dall’Iran in questi ultimi 36 anni.
Ci si può chiedere cosa può esserci di positivo e che benefici possiamo avere da un rapporto conflittuale con l’Occidente, gli Stati Uniti, l’Europa.
Dobbiamo dire purtroppo che l’approccio ideologico che abbiamo avuto per il dossier nucleare ha danneggiato gli interessi e l’economia iraniana. Abbiamo sostenuto costi ingenti, diretti e indiretti, per via delle sanzioni. Come tutto questo può avere avuto conseguenze positive sull’economia iraniana, può avere avuto un impatto positivo?”

-Gli attivisti dei diritti civili sperano in un miglioramento della situazione, soprattutto per quel che riguarda i diritti delle donne.
Dopo l’accordo nucleare, Rouhani avrà il potere e la capacità di rispondere a queste attese?

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“Bisogna avere pazienza, bisogna avere attese proporzionate. In ogni caso, bisogna ricordare che questo governo, l’esecutivo, costituisce solo una piccola parte del potere in Iran.
Purtroppo la maggior parte del potere nel Paese non è gestita dalle istituzioni elette dal popolo. Detto questo, penso che dovremmo avere delle aspettative”.

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