Lo Yemen, un conflitto per molti

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Di Euronews
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Nello Yemen si combatte attualmente una guerra civile, ma anche un conflitto regionale. Da una parte i ribelli Houthi, che hanno preso il controllo

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Nello Yemen si combatte attualmente una guerra civile, ma anche un conflitto regionale. Da una parte i ribelli Houthi, che hanno preso il controllo della capitale Sanaa; dall’altra le forze fedeli al deposto presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi.
Da una parte gli sciiti (gli Houthi, ma si suppone che dietro di loro ci sia l’Iran); dall’altra i sunniti (Arabia saudita e altri governi del Golfo).

Un conflitto interno, che si combatte nel nome del governo del Paese; e un conflitto che va al di là dei confini nazionali e che si combatte nel nome della stabilità regionale (e del bilanciamento tra potenze regionali).

Lo Yemen è uno dei Paesi più poveri al mondo, funestato da tanti anni di guerra civile con attori che a volte cambiano e fasi di conflitto multi-polare: nelle regioni meridionali ci sono anche i campi d’addestramento di gruppi terroristi come Al Qaida nella Penisola Arabica, quella che ha rivendicato il massacro nella redazione parigina di Charlie Hebdo. È un gruppo d’ispirazione sunnita, che ha legami fluidi con l’Isis che agisce principalmente tra Siria e Iraq, anch’esso sunnita.

D’altra parte, come l’Isis ma in modo molto diverso dall’Isis, gli Houthi vogliono la restaurazione del Califfato islamico. La loro è l’interpretazione più radicale dello Scisma.

C‘è dunque la lotta tra sunniti e sciiti, che si somma alla lotta politica nazionale; c‘è il conflitto tra potenze regionali, tra sauditi e iraniani; e poi c‘è la preoccupazione anche delle potenze occidentali, perché se un gruppo sciita considerato vicino all’Iran prendesse il controllo di tutto lo Yemen crescerebbe la minaccia iraniana sui trasporti mondiali di petrolio: lo stretto di Hormuz da una parte, quello di Bab-el Mandab dall’altra (tra Yemen e Gibuti, l’imbuto da attraversare per arrivare al Canale di Suez e quindi al Mediterraneo).

Ecco un punto fatto da alcuni esperti regionali di Euronews, sulla percezione di questo conflitto in Paesi a vario titolo coinvolti.

Iran

Gli Houthi sono un gruppo sciita che gode da tempo del supporto di Teheran, anche se ufficialmente viene negata l’assistenza militare. Quindi è importante per l’Iran se gli Houthi guadagnano terreno.

L’Iran vede lo Yemen come una chiave strategica nella regione, sulla quale vuole esercitare la sua influenza politica.

Il governo iraniano afferma che quello che accade nello Yemen è frutto di una crisi interna che va risolta con il dialogo.

Teheran descrive gli Houthi come un gruppo forte che gode di un supporto massiccio tra la popolazione, e quindi un attacco militare contro di loro è un errore strategico.

I recenti bombardamenti sauditi contro le forze Houthi sono visti in Iran come uno sviluppo notevole del conflitto di vicinato in corso da tempo tra sauditi e iraniani.

Il sospetto è che la prova di forza saudita sia da vedere in collegamento con le recenti operazioni militari iraniane in Iraq, per aiutare le milizie sciite locali a respingere l’Isis.

Arabia Saudita e alleati del Golfo

Riyadh ha annunciato il 26 marzo di aver avviato, insieme ad altri nove governi sunniti della regione, operazioni aeree contro i miliziani sciiti Houthi, che controllano Sanaa insieme alle forze fedeli all’ex presidente Saleh (predecessore di Hadi).

La campagna per impedire agli Houthi di governare lo Yemen potrebbe ridefinire il ruolo dei sauditi nel Medio Oriente per gli anni a venire, e rimodellare anche il conflitto regionale con l’Iran alleato dei ribelli Houthi.

L’Arabia Saudita e i suoi alleati vedono la situazione nello Yemen come l’ultimo sviluppo delle ambizioni espansioniste iraniane in Iraq, Siria, Libano e Bahrain.

La leadership iraniana e la maggioranza della popolazione professano la branca sciita dell’Islam, mentre la gran parte delle altre potenze regionali segue i dettami sunniti.

La nuova alleanza tra due ex nemici (gli Houthi e le truppi fedeli a Saleh) punta a prendere il controllo dello Yemen, e il suo successo ha spinto la coalizione a guida saudita a intervenire per assicurarsi che il controllo dello stretto di Bab el Mandeb e quindi l’accesso al Mar Rosso e al Canale di Suez non cada in mani poco amichevoli.

Turchia

La Turchia, Paese a maggioranza sunnita, ha annunciato il proprio supporto alla lotta saudita contro le forze Houthi.

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Il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, che dovrebbe visitare Teheran nei primi giorni di Aprile, accusa l’Iran di voler dominare il Medio Oriente: “Dovremmo consentire questo? Questa cosa comincia a infastidire noi, l’Arabia Saudita e i Paesi del Golfo. Non è davvero tollerabile e l’Iran deve capirlo”, ha detto Erdogan in conferenza stampa.

Il punto di vista turco è che il conflitto si è trasformato in una lotta settaria, con l’Iran che getta benzina sul fuoco, nell’ambito di una serie di azioni destabilizzanti, come il coinvolgimento iraniano in Siria, Libano e Iraq.

Ankara ha detto che fornirà supporto logistico alla coalizione araba contro gli Houthi ed è pronta a pagare il prezzo in termini di relazioni politiche e commerciali con l’Iran: relazioni che andavano migliorando, negli ultimi anni.

Turkey's siding with Saudis in Yemen crisis further sours Iran ties #Turkey#Yemenhttp://t.co/sivkK74kjfpic.twitter.com/xtn03xdwDm

— Middle East Eye (@MiddleEastEye) 30 Mars 2015

UE

“L’azione militare non è una soluzione” alla crisi nello Yemen, secondo Federica Mogherini, l’Alto Responsabile dell’Unione europea per la politica estera. La settimana scorsa, in una sorta di risposta all’operazione militare saudita, Mogherini ha anche detto che l’uso della forza rischia di incrementare esponenzialmente “la capacità dei gruppi estremisti e terroristi di trarre vantaggi dalla situazione”.

In pratica: non c‘è altra soluzione che la diplomazia, secondo la responsabile della diplomazia europea.

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Per ora, il livello e il tono degli interventi non da l’impressione che la leadership europea consideri la crisi nello Yemen come una minaccia immediata, a differenza della Siria e della Libia, due Paesi ben più vicini all’UE.

Però, anche se la minaccia che elementi radicali e ben preparati possano tornare in Europa dallo Yemen sembra meno immediata, a Bruxelles tengono comunque in conto il fatto che Al Qaida nello Yemen ha rivendicato gli attacchi di Parigi nello scorso gennaio.

E poi, il conflitto che viene visto come un confronto diretto tra Riyadh e Teheran giunge nel momento peggiore, proprio mentre i negoziatori europei, insieme ai loro colleghi di Stati Uniti, Russia e Cina, sono impegnati nei colloqui sul nucleare iraniano.

Resta il fatto che per il momento l’approccio dell’UE sembra piuttosto attendista.

USA

Negli Stati Uniti, il deterioramento della situazione nello Yemen viene percepito come il sintomo di una crisi senza ritorno che riguarda un buon numero di Paesi nel Medio Oriente. Nell’arena politica interna, è divenuto rapidamente un altro tema di confronto tra l’amministrazione Obama e il Congresso a guida repubblicana sull’approccio da adottare contro l’Isis, e in materia di Iran, Libia e anche sul ritiro delle forze statunitensi dall’Afghanistan.

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Questo conflitto tra l’altro sembra contraddire le conclusioni cui era giunto Barack Obama appena pochi mesi fa, quando evocava proprio lo Yemen come esempio di successo della strategia dell’amministrazione statunitense contro il terrorismo.

Nella corsa alle primarie del 2016, molti dicono che la Casa Bianca sembra sempre più distaccata dagli eventi nel Medio Oriente.

Ma nel fine settimana l’amministrazione ha risposto: se i Repubblicani vogliono davvero forze di terra statunitensi nello Yemen, in Siria e in Libia, re-invadere l’Iraq e condurre un’altra operazione in Afghanistan, allora dovrebbero dirlo apertamente, secondo il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest.

Finora né il Senatore Ted Cruz, unico candiodato dichiarato repubblicano alla presidenza, né altri delle decine di possibili candidati hanno risposto alla provocazione.

Testi originali di Hossein Alavi, Stefan Grobe, Olaf Bruns, Bora Bayraktar, Riad Muasses. Introduzione di D.Malcangi

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