Svelata l'identità del boia dell'Isil con accento londinese

Svelata l'identità del boia dell'Isil con accento londinese
Di Alfredo Ranavolo
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Si chiama Mohamed Emwazi. Il suo nome reso noto dai media britannici. Le autorità informate da tempo, ma non confermano.

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Non è John, come era stato soprannominato per il suo accento londinese, ma Mohamed. Emwazi di cognome. Il resto è una sostanziale conferma sul boia di tanti video dell’Isil: è nato in Kuwait, ma la sua formazione è tutta britannica.

Di buona famiglia, cresciuto a North Kensington, nella parte occidentale di Londra, laureato in informatica.

Scotland Yard aveva tenuto segreta la sua identità per non compromettere le indagini, ma qualcuno ha parlato e l’identità è stata rivelata dalla Bbc.

Dalle autorità nessuna conferma. “Richard Walton, dell’antiterrorismo, ha ricordato in un comunicato che ai media era stato chiesto di non fare alcuna speculazione su nomi:http://www.met.police.uk/pressbureau/Bur26/page03.htm. Ma il flusso di informazioni è ormai inarrestabile.

Il ragazzo si sarebbe avvicinato all’estremismo islamico dopo un viaggio in Tanzania, nel 2009. Doveva essere una vacanza che, in realtà, non è stata portata a termine perché Emwazi fu arrestato all’aeroporto di Dar es Salaam, per motivi ignoti, ed espulso.

Era assieme a due amici: un tedesco convertito all’Islam che si chiama Omar e un certo Abu Talib.

Non solo, a quanto riportano i media britannici, “Jihadi John” era stato detenuto dall’antiterrorismo britannico nel 2010 quando pianificava un viaggio per il Kuwait. La polizia gli aveva preso le impronte digitali e lo aveva perquisito, inserendo poi il suo nome nella lista dei terroristi sotto controllo, vietandogli l’espatrio. Ma, a quanto pare, è riuscito lo stesso a lasciare il territorio britannico. Si sarebbe unito all’Isil, in Siria, nel 2012.

Secondo l’organizzazione Cage, nella radicalizzazione di Emwazi ci sarebbero colpe dei servizi segreti britannici.

L’associazione, che si occupa di difendere persone che hanno subito conseguenze dalla “guerra al terrore”, era in contatto sin dal 2010 con quello che, a quanto sembra, si è trasformato in un assassino.

A quell’epoca aveva scritto a Cage, relativamente al suo viaggio programmato in Iraq: “non sono mai salito su quel volo. Sono stato respinto. Avevo un lavoro che mi attendeva e un matrimonio organizzato. Ora mi sento un prigioniero, qui a Londra. Una persona imprigionata e controllata dai servizi di sicurezza, che mi hanno impedito di vivere la mia nuova vita nel luogo dove sono nato, che è il mio Paese: il Kuwait”.

E aveva poi proseguito: “ho provato a capire le ragioni per le quali il Kuwait ha rifiutato il mio visto e come risolvere questo problema. Mi hanno detto che le autorità del Kuwait non avevano alcun problema a lasciarmi entrare. La ragione del rifiuto era solo che gli agenti britannici avevano chiesto di non lasciarmi entrare nel Paese”.

L’organizzazione sostiene che nella stessa situazione si sarebbero trovati, a partire dal 2001, molti altri giovani britannici.

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