Il caos libico minaccia Egitto e Italia, Paesi arabi divisi su strategia anti-Isil

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Di Euronews
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La Libia è la nuova frontiera nella lotta al terrorismo. Questo è l’Hotel Corinthia, nel centro di Tripoli, la capitale della Libia, il giorno dopo

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La Libia è la nuova frontiera nella lotta al terrorismo. Questo è l’Hotel Corinthia, nel centro di Tripoli, la capitale della Libia, il giorno dopo l’attacco del 27 gennaio. Uomini armati hanno fatto irruzione nell’hotel dove si trovavano il primo ministro libico e una delegazione statunitense uccidendo almeno nove persone. L’attacco è stato rivendicato dai combattenti fedeli all’autoproclamato Stato islamico.

Il Paese, dopo il rovesciamento di Gheddafi, risulta diviso in due feudi in lotta tra loro, con due governi e altrettanti parlamenti: un esecutivo è sostenuto a Tripoli dalle milizie islamiste, l’altro, riconosciuto dalla comunità internazionale, è a Tobruk. Il gruppo jihadista ha trovato un terreno propizio in Libia e fa paura a Italia e Egitto.

La decapitazione di 21 copti egiziani ha provocato la reazione del Cairo che per la prima volta ha riconosciuto di aver bombardato le postazioni islamiste a Derna, mentre l’aviazione libica ha preso di mira Sirte e Ben Jawad. Ma la minaccia più grave arriva dal Sinai.

Il gruppo armato che ha preso il controllo della penisola, Ansar al-Bayt Maqdis, non dà tregua all’Egitto dopo la caduta di Morsi e la repressione ai danni dei fratelli musulmani. È alleato del sedicente Stato Islamico e utilizza gli stessi metodi di propaganda basati sul terrore.

Il Paese guidato dal generale al-Sisi non partecipa alla coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti contro l’Isil, per concentrarsi sulla difesa dei propri confini minacciati dai ribelli islamici.

Non è questo il caso della Giordania che invece fa parte della coalizione anti-Isil. I caccia giordani hanno intensificato gli attacchi dopo la barbara uccisione del loro pilota Muath al Kaseasbeh. L’operazione “Martire Muath” ha portato alla distruzione di numerose postazioni jihadiste in Siria.

Altri Paesi arabi, come l’Arabia Saudita e gli Emirati partecipano ai raid. L’ultimo ad aggiungersi è il Bahrain. Ma nessuno di loro invia uomini sul terreno. A contenere l’avanzata jihadista nel nord dell’Iraq ci sono solo i Peshmerga curdi. Ma le loro armi leggere non fermano l’avanzata di un nemico dotato delle armi pesanti abbandonate dall’esercito iracheno in ritirata.

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