Orso alla carriera a Wenders, Berlino omaggia il suo cantore per immagini

Orso alla carriera a Wenders, Berlino omaggia il suo cantore per immagini
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Di Alfredo Ranavolo
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Premio per il regista di "Paris, Texas" e "Lisbon story", che "da grande" vuole fare una commedia.

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L’ha raccontata con occhio poetico come mai nessun altro, in uno dei suoi film più celebri, “Il cielo sopra Berlino”. Ora la città gli ha reso finalmente omaggio, premiandone una carriera lunga e ricca di successi.

Wim Wenders si è presentato alla 65ma edizione del festival con il suo ultimo film, “Every thing will be fine”. Ma non in concorso. Una statuetta, però, la porta a casa lo stesso.

“Fantastico! Un piccolo orso d’oro. L’orso è il mio anmale preferito, perciò sono così contento. Posso solo dire ‘grrrr’ ha commentato ai microfoni di euronews con la gioia di un ragazzino il quasi settantenne regista, che per la sua “maturità artistica” vorrebbe regalarsi una commedia che “non sono mai riuscito a girare”.

Anche se, con la sua riconoscibilissima cifra stilistica, il regista di Dusseldorf, elementi di commedia li ha sparsi in svariate delle sue pellicole, tra le quali “Così lontano, così vicino” (meno riuscito seguito di “Il cielo sopra Berlino”), “Lisbon story”.

Perfino, in versione nera, in “The million dollar hotel”.

Il suo è stato un cinema di rottura. Di schemi, di ritmi, di argomenti, di personaggi, sin dai primi lungometraggi: “Estate in città”, “Prima del calcio di rigore”, dove compare il primo dei suoi attori feticcio, Rudiger Vogler, che tornerà subito dopo in “La lettera scarlatta” e “Alice nelle città” (forse il primo dei lavori wendersiani per il quale si può spendere la parola capolavoro), tutti degli anni ’70.

Ma anche in tempi (ormai relativamente) più recenti, con “I fratelli Skladanowsky”.

Spesso è stato “il regista delle città”, mostrandole con un amore e un’attenzione maniacale alla ricostruzione dell’atmosfera da far sembrare anche a chi non c’era mai stato di averci vissuto da sempre. È stato così con Tokyo, Lisbona, Berlino, Palermo.

Esponente di spicco insieme a Reiner Werner Fassbinder, Werner Herzog, Edgar Reitz di quello che negli anni ’60 fu identificato come “Nuovo cinema tedesco”, Wenders ha influenzato colleghi in tutto il mondo.

Come il brasiliano Walter Salles, che ne parla così: “più di ogni altro ci ha dato una bussola morale e anche una bussola estetica per comprendere dove eravamo, chi eravamo e dove potevamo andare. Quindi dobbiamo ringraziarlo per il suo cinema. Penso che il premio non poteva finire in mani migliori”.

Una vera rivoluzione fu anche “Fino alla fine del mondo”, nel 1991. Un film di fantascienza sui generis. Un road movie che si sviluppa ai quattro angoli del globo, in un’atmosfera da apocalisse incombente.

Oltre che regista e sceneggiatore, è attore, saggista, fotografo. Tra i tanti riconoscimenti spiccano nella sua bacheca il Leone d’oro a Venezia nel 1982 per “Lo stato delle cose” e, due anni dopo, la Palma d’oro a Cannes con “Paris, Texas”.

“Ha vinto molti premi in carriera, ma mai un Orso d’oro. Wim Wenders, un regista e un artista che ha fatto la storia del cinema tedesco” ricorda l’inviato di euronews, Wolfgang Spindler. Aveva, però, avuto un Orso d’argento con “The million dollar hotel”.

Sempre più dedito, nella seconda parte della sua carriera, al documentario, a lui si deve anche il successo mondiale dei “Buena vista social club”, dopo l’omonima pellicola firmata nel 1999.

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